sabato 3 dicembre 2016

Non solo horror: Song of the sea

Io e la mia solita amica Elena abbiamo questa cosa per cui i nostri discorsi non hanno alcuna logica, partono da una cosa e finiscono chissà dove. La creatività è uno dei punti su cui torniamo spesso, e ogni volta in cui mi sono sentita in blocco (ed è capitato con frequenza allarmante), lei mi ha detto che niente stimola la creatività più di Song of the sea, che lei ha visto molto prima che uscisse nelle sale italiane.
Ce ne ho messo di tempo, ma eccomi qua.

Song of the sea è la storia di due fratelli, e penso abbiate ormai capito che i cartoni con due fratelli non riescono a lasciarmi fredda, che convivono con la scomparsa della madre, una selkie, creatura del folklore irlandese. Questa natura mitologica è stata trasmessa alla figlia minore, Saoirse.
Capirete da voi che il primo vero vantaggio del film è quello di decidere insindacabilmente quale sia la vera pronuncia del nome della Ronan, fine della questione.


Fare i cinici è facilissimo, è una cosa a cui gioco continuamente e che mi dà anche piuttosto soddisfazione. Ogni tanto, però, per ristabilire un minimo gli equilibri interni e scongiurare quindi il rischio di un TSO, ecco che faccio queste manovre suicide e mi lancio in visioni che prendono tutti i sentimenti umani e li scombussolano tutti, lasciando me e chiunque altro ad un ameba singhiozzante.
Song of the sea parla di una famiglia, che nel suo piccolo mondo sembra stare d'incanto. La madre, però, deve fare ritorno al suo habitat, il mare, e lascia dietro di sè lo scheletro di quella che era la calorosa famiglia iniziale. Un uomo spezzato e solitario, un bambino rancoroso e sofferente e una bambina muta. Chiaramente quando la nonna fa la sua comparsa cerca di rattoppare il danno, come le chiede la sua natura di nonna, ma certe ferite vanno ricucite da sè. Iniziano allora canti, rincorse, suppliche, avventure. Arrivano streghe, gufi, streghe dei gufi. Perchè la più reale delle storie, ovvero quella di persone che soffrono, viene raccontata con la magia di un mondo fatato, in cui i bambini si legano alla cintola col guinzaglio e in cui i sentimenti diventano di pietra.
Viene raccontata con disegni dai tratti semplici ma incantati, dai movimenti leggeri e dai colori tenui, e con un dolcissimo uso della musica. No, non è un musical, è un film in cui la musica è salvifica e non riesco a pensare a niente di altrettanto vero.

E se fino a qui sembra solo la storia tenerina di un fratellone maggiore che deve salvare la sorellina, ecco che ad un certo punto arriva ciò che spinge la lancetta un po' più in là, e che fa passare Song of the sea da un bel film d'animazione ad un'opera ben più profonda, facendo quello stesso percorso che fa il mio adoratissimo La città incantata.
Ben, il bambino, e la strega, hanno l'ambito confronto, e lei gli fa la più semplice delle domande: se potessi pietrificare il tuo dolore, non lo faresti?
Eh.
Se avete una risposta tenetevela per voi ancora un po'.
Poi guardate Song of the sea. Può essere che finiate affogati nella vostra commozione, ma se non altro avrete le idee un po' più chiare.
Mettete da parte il nostro amico cinismo per un po', ché io sto ovulando e ho la lacrima facile, e accettate che la soluzione è questa: il dolore ce lo dobbiamo tenere, fa parte di quello che siamo anche se è una superba rottura di coglioni. Ma si cura. L'amore lo cura. L'amore (di qualunque tipo) ti prende il viso tra le mani e ti forza a cantare la canzone che ti salverà la vita. Ed è vero, lo è sempre anche quando queste ci sembrano solo cagatine buoniste e smielate, che ci rende individui migliori, che affrontare quella sofferenza (anche quella più arrabbiata) ci libera di quel risentimento rancoroso che ci rende ostili e furiosi col mondo.
Non so quanto io possa essere attendibile, quando dico certe cose, ma una cosa la so per certo: io SONO rancorosa, io provo risentimento, io sono arrabbiata. Lo sono da quando ho memoria. Lo sono per quelle cose di cui sono stata privata, soprattutto per le possibilità che mi sono state tolte, lo sono per quelle cose che avrei desiderato e che non ci sono state e per anni sono stata certa che questi sentimenti me li sarei portata dentro per sempre, e quel piccolo maleducato dispettoso Ben non poteva starmi antipatico, era una Mari irlandese.


Per quanto Song of the sea sia incantevole, non fraintendetemi: non dico certo che un film rende persone migliori, e se I Tenenbaum non hanno risolto i miei problemi nessuno al mondo lo può fare, ma la testa si apre. Quando ci si emoziona per il dolore provato da un bambino disegnato su uno schermo, è naturale riflettere sul proprio, e guardarlo dall'esterno per un po'.
Fa bene all'anima.
E fa bene alla testa, perché oltre a tutte queste infinite sovrastrutture che ci costruiamo sopra in base alla nostra vita, Song of the sea è una poesia.

Questo il link per acquistare il DVD del film: http://amzn.to/2gkDeQf
Cliccando qui, invece, arriverete dritti alla playlist di spotify della colonna sonora. Se riuscite ad ascoltare altro fatemi sapere.

2 commenti:

  1. Quanto ho amato questo film, per quei disegni, per quel cane, per quella storia piena di magia e verità.
    Riguardo all'affrontare i momenti più bui, la mia citazione preferita è "Tra il nulla e il dolore, io scelgo il dolore", che come scrivi gran bene tu, aiuta, per quanto male può fare, a crescere.

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    Risposte
    1. Bellissima la tua citazione e bellissimo il film, sono dispiaciutissima di non esserlo andato a vedere al cinema quando ce n'era stata la possibilità!

      Elimina

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