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mercoledì 23 marzo 2016

Non aprite quella porta

16:02
Ogni tanto mi dimentico che amo tanto questo posto perché l'ho sempre gestito con spontaneità. Vedevo un film e se mi andava ne parlavo nel modo che preferivo, cosa che per un periodo mi è venuta difficile. Tipo: in questo periodo sto 'studiando' Hitchcock. Leggo monografie, articoli, saggi, guardo suoi film come se non ce ne fossero altri al mondo. Mi sentivo in dovere di parlare di lui qua. Eppure, quando apro blogger per scrivere su di lui, la mente è bianca. E ieri, che volevo ardentemente parlare di Vertigo, mi sono bloccata. Perché mi stavo concentrando troppo su quello che avrei voluto dire e ho smesso, per un po', di godermi quello che mi piace: i film.
Oggi, quindi, si ritorna alle origini, a guardare i cinemini a cui faccio la corte da un po' ma che magari ho rimandato per paura di non avere niente da dire, o per non proporre l'ennesimo post sul film di cui stanno già parlando o hanno già parlato tutti.
E sì, facevo la corte a Non aprite quella porta perché non avevo ancora visto il primissimo, deal with it.

Non credo di dovervi raccontare la trama anche stavolta, dai.


Non l'avevo mai visto eppure credevo di saperne tutto: è uno di quei cult lì che se non li hai visti puoi andare a zappare l'orto, Di quelli storiconi, con il villain famosissimo, di quelli le cui scene più famose sono praticamente tatuate in ogni altro film successivo. . .avete capito il genere.
Eppure, ho realizzato, guardandolo, non ne sapevo proprio niente.
E non sapendone nulla, sono stata presa a pugni sul muso in un modo che non mi succedeva da parecchio. Sarebbe bastato leggere un paio di recensioni prima della visione, per arrivare un po' preparata, e invece NO, io i post li leggo dopo, senza il minimo senso.
Io, sempre perché credevo di sapere tutto, ero già pronta a secchiate di sangue lanciate per aria, ero preparata a contare gli arti amputati e le frattaglie visibili.
Vi potrei deludere tutti (ma tutti chi? che lo avete già visto) dicendovi che se si vede un goccio di sangue è quasi un errore, e invece mi toccherà farvi presente che qua parliamo di violenza vera.


Io sono una a cui il gore lascia piuttosto indifferente. Certo, se godete della vista degli intestini per aria prima di tutto dovete rivolgervi ad uno specialista, e poi accontentarvi di un torture porn mainstream con tanti soldoni da spendere in effetti che vi mostrino che schifo faccia il corpo umano.
Se invece volete proprio la sofferenza quella marcia e che ti fa pentire di avere acceso il pc, allora siete dalle parti giuste.
C'è una scena in particolare che posso raccontarvi senza pericolo di potenziali spoiler.
Ragazza catturata, caricata su un furgone insieme a tizio pazzo. Mi sembra sufficientemente vago. Lei coperta, al posto del passeggero. Il tizio pazzo CONTINUA a colpirla con una scopa, in una maniera così degradante, così folle, da far perdere la pazienza. Io poi che la prendo sul personale ho trovato la scena quasi insopportabile. Avrei urlato BASTABASTABASTA. E Hooper non ha mostrato niente, eh. Non si vede la ragazza colpita, non si vedono botte o sangue. Ma una rabbia feroce dentro a questa maniera non me l'aveva ancora data nessuno.
Così, per tutto il film. Quella volpe di Tobe non ha bisogno di ostentare alcunché, eppure eccoti lì, a sentire un male cane. Mica lo vedi quell'uncino infilato nella schiena, eppure guardati che la inarchi sul divano.
Vedi solo una famiglia di folli, che fanno una paura malvagia, perché sono incontrollati ed incontrollabili, privi di ogni forma di civiltà, mi chiedo anche come possano saper guidare.
E una motosega, agitata furiosamente dell'aria.
Che ti fa paura, eh, ma che te ne fa solo chiedere ancora.


lunedì 20 luglio 2015

Tratto da un racconto di Stephen King: A volte ritornano

18:21
Nel 1978 esce la prima raccolta di racconti del Nostro. Si chiama Night Shift, distribuito in Italia come A volte ritornano. 
Venti racconti uno più bello dell'altro (continuo a credere che lui dia il meglio di sè nelle narrazioni brevi, per quel poco che ne posso sapere io), da cui, ovviamente sono stati tratti svariati film, alcuni più famosi di altri.
Fil rouge: mi han fatto tutti schifo. O quasi.


Grano rosso sangue, 1984, Fritz Kiersch 


I pugni sono roba facile. Un po' troppo visti.
Gli schiaffoni, invece, quelli proprio a mano aperta in pieno viso, sono più umilianti. Sono 'ho fatto il cattivo e il papà mi dà una bella sberla'.
Per questo, quando alla fine di Grano rosso sangue il protagonista Burt prende a pizze in faccia il giovane Malachia a due a due fino a che diventano dispari, io ho goduto profondamente.
Malachia è un giovane che vive nella cittadina di Gatlin. Cittadina strana, quella, ci vivono solo ragazzini. Burt e Vicki, una coppia in viaggio, si ritrovano lì perché hanno investito un bambino e vogliono andare a denunciare l'incidente alla polizia. Ma niente adulti, niente polizia.
Sapete quanti Grano rosso sangue ci sono? Qualcosa come SETTE. Sei sequel per un film che ok ha fatto buoni incassi (che poi in questi casi è tutto ciò che conta) ma che risulta essere un mediocrissimo lavoretto con molto poco da dire. 
Non mi basta che mettiate un cappello nero in testa ad un ragazzino dal viso angelico per rendermelo inquietante, vi dirò.
Perché nel racconto si arriva nella cittadina con calma, in un clima che parte già teso per la coppia in procinto di divorziare, con approfondite descrizioni dei campi di grano che paiono essere l'unica cosa presente, si sente leggendo il vento che li muove.
Sapete cosa fa rabbia? Che il film inizia bene. In un ridente paesello di campagna del Nebraska tutti i cittadini sono bravi cristiani che dopo la funzione domenicale si fermano alla tavola calda a fare una bella colazione tutti insieme. Inizia a questo punto una mattanza messa su dai bambini del villaggio, fatta di caffè avvelenato, coltelli e botte. 
Ecco, un efficace inizio che si rivela la sola cosa funzionale del film. Mi rendo conto che per chi lo abbia visto magari nell'infanzia possa stare comodo negli abiti di culto, ma io l'ho visto a 24 anni, capitemi.

The Mangler, 1995, Tobe Hooper


'Hai provato a pensare che la macchina sia maledetta?'
'Sì, come no.'
'No, non maledetta, posseduta!'
Ah, scusa, adesso sì che mi torna.
Non è che voglia fare la saputella, perdonatemi, ma mangler vuol dire stiratrice. Ora, se mi fai un film su una stiratrice maledetta, lo devi fare in un certo modo, perché è piuttosto evidente che non ci troviamo di fronte a materiale di sua natura particolarmente inquietante.
Detto ciò, quello che penso io è che con certe premesse si poteva tirare fuori una comedy horror indimenticabile. Perché è una STIRATRICE, capito?
Una di quelle idee che solo quel beotone di Stephen King poteva tirare fuori, perché secondo me quello lì nel cervello non ha convenzionale materia grigia ma chiaramente altro. Il fatto che fosse uso alle sostanze illecite e all'alcool può anche avere dato una sua buona mano.
Questa, di stiratrice, sta in una ditta, la Blue Ribbon Laundry, in cui i dipendenti (e quelli che stanno loro intorno) iniziano a cadere come i dieci piccoli indiani di Christiana memoria. Indagano un poliziotto e un suo amico, quello che lo voleva convincere che la suddetta macchina fosse maledetta. No, non maledetta, posseduta.
Che poi io lo capisco anche, eh, Tobe Hooper. Se uno dei tuoi primi film ti esce storico, un culto, una perla, un amatissimo filmone che nessuno mai dimenticherà, poi sei costretto a essere sempre all'altezza. Allora ci riprovi, ti viene Poltergeist, pensi di essere a posto per la vita.
E invece no, la gente vuole altro, altri film tuoi, quando tu magari vorresti essere a Mauritius a farti spalmare di spf 50 per evitare le rughe.
Poi si lamentano se ti vengono come The Mangler. 
Io lo so che ci hai provato, bello mio, che hai detto 'spetta che mettiamo Robert Englund così tutti guardano lui e nessuno nota che in fondo sono un registino così buttato lì e basta.'
Invece no, l'abbiamo notato.
Mi spiace.

L'occhio del gatto, 1985, Lewis Teague


Se mi date un film horror a episodi il cui filo conduttore è un gatto secondo i miei professionali e competenti canoni di giudizio già dirò che si tratta di un'opera straordinaria.
Poco importa se farà schifo.
La bella notizia in questo caso è che il film non è brutto.
Gli episodi sono 3, dei quali solo i primi due sono tratti da due racconti di A volte ritornano.
Nel primo, Quitters Inc., vediamo un uomo rivolgersi alla ditta che dà il nome al titolo per farsi aiutare a smettere di fumare. I metodi da loro utilizzati si riveleranno, come dire, poco ortodossi.
Il secondo ('Il cornicione') invece ci mostra come una specie di grasso mafioso scommettitore usi il suo vizio delle scommesse anche contro l'amante della moglie. Un episodio abitato da una manica di deficienti che però mi ha intrattenuto piacevolmente, riuscendo anche a farmi provare del sano disgusto nei confronti del nostro benestante 'benefattore'.
Nel terzo, chiamato 'Il Generale', infine, ritorna il nostro beneamato felino, questa volta in veste eroica, in quanto pronto a salvare una giovane e deliziosa bimbetta dalle grinfie di un troll (che, in modo del tutto inaspettato, non si trova nei sotterranei. cit).
Quale sia finito in testa alla classifica lo capite bene da voi.
(No, in realtà ho apprezzato molto il primo corto ma poiché il mio amico felino viene torturato non ho il coraggio di ammetterlo a voce alta.)

Brivido, 1986, Stephen King


Io ti prego Stephen di posare quella macchina da presa e di venire qua a sederti vicino a me. Calmati, questo incubo è finito. Basta, basta.
Film mai più.
Solo solo solo libri.


mercoledì 17 luglio 2013

Poltergeist

15:52
(1982, Tobe Hooper)



Quanto ci sguazzo dentro, io, in queste cose.
Sono un'appassionata di fantasmi. Perché, diciamoci la verità, nessuno crede agli zombie, ai vampiri e ai licantropi. Ma tutte le persone del mondo hanno messo in dubbio almeno una volta nella vita l'esistenza dei fantasmi. Quando si cammina in un corridoio buio, o si vede un'ombra con la coda dell'occhio, o si spegne la lampada prima di dormire, per una frazione di secondo tutti quanti si guardano intorno per verificare che non ci siano presenze.
E la cosa che mi affascina di più dopo i fantasmi sono le leggende metropolitane.

Se ne deduce che Poltergeist è per me un film cult. Riconosciuto universalmente come il re dei film maledetti, secondo forse solo a L'Esorcista (ma lui non fa testo perché ha tutti i primati dell'universo, tutti), ha dato vita alla leggenda metropolitana che lega le registrazioni del film (o meglio, dell'intera trilogia) alla scomparsa di quattro persone, prima fra tutti la piccola Heather O'Rourke, protagonista dei tre film, morta subito dopo le riprese del terzo capitolo.



Questa volta vittime della visita di un poltergeist sono i Freelings, mamma, papà e tre figlioli. La più piccola dei tre (interpretata da Heather O'Rourke, appunto), Carol Ann, una notte si sveglia e inizia a parlare col televisore. I genitori attribuiscono la colpa al sonnambulismo di cui soffriva anche la madre, e non danno troppo peso alla questione fino a quando tutti gli oggetti della casa iniziano a volare allora forse è il caso di iniziare a preoccuparsi. E ci si preoccupa per una buona ragione, perché le presenze sono riuscite a prendere la piccola di casa e portarla in una sorta di limbo, una dimensione intermedia, da cui i genitori da soli non possono tirarla fuori. Si rivolgono quindi a un team specializzato in parapsicologia.

Il cinema recente ci ha abituato male. Di ghost story serie si sente un po' la mancanza (con le dovute eccezioni), e di spaventosi film sui poltergeist non si hanno notizie. I fantasmi devono far PAURA, non far spaventare. Vivi in una casa con una persona morta, come minimo ti deve prendere un'ischemia cerebrale dall'angoscia. Invece recentemente si saltella sulle poltroncine e basta. I poltergeist dovrebbero essere ancora peggio perché, per chi non fosse interessato all'argomento, la differenza tra i due ectoplasmi sta nel fatto che i poltergeist sono quelli che rompono di più le scatole. Quelli ancora più cattivi, fastidiosi e se vogliamo anche pericolosi.
Sulla base di ciò, quello che mi aspetto da un film che si intitola proprio così è che la presenza che infesta casa faccia un casino infernale.

Ecco, in questo film il simpaticone fa un CASINO DELLA MADONNA. Lampi, alberi che attaccano i bambini, altri bambini che spariscono nel nulla, tutta la stanza che muove no stop 24h al giorno (pensa te che fonte di energia alternativa), facce strappate. .
Ma partiamo dal principio.

La piccola Carol Ann comunica per la prima volta con la presenza dopo 5 minuti dall'inizio del film. Tobe, non mi deludi mai.
Quando la madre intuisce per la prima volta che la loro casa è infestata ha una reazione spettacolare: si diverte! Saltella dall'entusiasmo, gioca, fa giocare la bambina, aspetta che lo spirito sposti le sedie, mostra i movimenti al marito come una bambina che vede i fuochi d'artificio per la prima volta.
Poco reale, dite?
Chissenefrega, sono stanca delle urla. All'inizio è una cosa semplice, qualche sedia spostata, e lei si diverte. Chiaramente, quando i fenomeni crescono d'intensità allora arriva la paura di cui parlavo sopra. E questi fenomeni non si fanno attendere, da subito gli abitanti abusivi si scatenano.

Entusiasmante.

Così definirei il film fino alla metà. Dall'arrivo della medium (figura eccessivamente 'caricaturale') in poi si avverte un calo inesorabile, tra forze vitali, memorie di piaceri terreni, riti con palline da tennis e una nonnina che affronta la luce con gli occhialini da sole (che però era splendida, questo va detto).
E poi, il finale. Orribile. Una cosa proprio brutta.



(P.S. Erre, il bimbo leggeva Capitan America con due poster di Star Wars sullo sfondo. Sareste stati ottimi amici!)
 


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