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venerdì 9 febbraio 2018

Your Name

12:57
Sono in piena maratona pre Oscar. Non sono mai stata agguerrita come quest anno, proprio l'anno in cui non mi so decidere perché mi sta piacendo tutto quanto. Siccome agli Oscar verrà dedicato un post a parte, però, devo riempire buchetti di programmazione qua e là, e oggi tocca ad una promessa che ho fatto a mio fratello.




Mitshua e Taki sono una ragazza e un ragazzo. Vivono distanti e non si conoscono nemmeno, fino a che un giorno scoprono che durante la notte riescono a scambiarsi i corpi. Lui in quello di lei, e viceversa. La situazione è problematica, ma loro trovano il modo di comunicare, lasciandosi messaggi in giro per il cellulare, e di non essere troppo un problema uno per la vita dell'altra.
Il loro rapporto si fa molto stretto, e Taki decide di partire per andare a conoscere Mitshua.

Questa è la terza volta che provo a buttare giù qualcosa su questo film, perché Kevin, mio fratello, ci teneva e io avevo paura di deluderlo. Quando si scrive di qualcosa che si sa essere così amato da qualcuno di caro è difficile.
La cosa che mi rende il compito meno gravoso è che Your Name è davvero l'incanto che tutti, Kevin compreso, dicono.

Non che la pensassi sempre così.
A metà film ero dispiaciutissima al pensiero di dovergli dire che a me sto film stava dicendo poco e niente. Una commediola body swap carina e buffa, ma niente di più.
Questa prima parte, però, serve giusto a farci mettere a nostro agio, comodi. Non pensiamo che di lì a poco saremo distrutti dalle emozioni, non ci mettiamo in posizione di protezione.
Quando quindi succede qualcosa di grande grande il nostro cuore non se lo aspetta e cade in frantumi. Io, poi, che del film non sapevo davvero davvero niente, mi aspettavo una storiella buffa su due innamorati destinati ad incontrarsi.
Non è così semplice, qui.

Lo so che ormai il film lo avete visto tutti e io sono l'ultima ad arrivare alla festa, ma ero riuscita a salvarmi dalle anticipazioni. Non lo sapevo cosa sarebbe successo quando finalmente Taki sarebbe andato a cercare Mitshua. Non lo sapevo, quindi cuore infranto e fine di tutte le speranze. La delicatezza con cui un certo lato del Giappone riesce a distruggere te e tutto ciò che hai di più caro non finirà mai di sorprendermi. Non è solo una questione di animazione (che è splendida e non ve lo devo certo dire io. Your name è proprio bellissimo), è proprio il modo di strutturare una narrazione complessa e che va ben oltre la classica storiella di due amanti dal destino avverso che combattono per stare insieme.
È una storia di ricerca anche di sè. Se io sono te e tu sei me, cercandoti trovo anche un po' di quello che sono io. Il Taki che torna da Itomori non è lo stesso che ha lasciato Tokyo. La storia tra i due, anche solo lo scambio di corpi, li trasforma, li rende migliori, più sicuri, meno adolescenti traballanti e più giovani adulti consapevoli e maturi. E se un rapporto ti trasforma così, è impossibile lasciarlo correre via.
Gli ostacoli del tempo e dello spazio sembrano nulla. 
E in una favola come questa, non possono che diventare nulla, di fronte all'enormità del poter stare insieme.
Insieme, e migliori.

Grazie, Kevin, per questa meraviglia.

venerdì 16 gennaio 2015

Non solo horror: La città incantata

13:10
(2001, Hayao Miyazaki)

Può un film d'animazione giapponese farmi pensare allo zucchero a velo?
Può, se lo firma Hayao Miyazaki.

Ne La città incantata incontriamo Chihiro, che sta affrontando con la famiglia un trasloco.
Giunta nella nuova città, però, il papà intraprende quella che sembra essere una scorciatoia ma che si rivela invece essere una strada chiusa che dà su un tunnel.
Presa dalla curiosità, la famiglia lo attraversa nonostante le proteste di Chihiro, e quello che si troveranno di fronte è un luna park apparentemente abbandonato, in cui però è rimasto attivo un banchetto in cui i genitori di Chihiro si abbuffano.
Peccato che vengano poi trasformati in maiali, e toccherà alla figlia trovare una soluzione a questo incantesimo.

Zucchero a velo, dicevamo.
Io non sono proprio capace di fare da mangiare, sopravvivo a malapena.
I dolci però li so fare, quelli sì. (credo)
E so che lo zucchero a velo non fa altro che addolcire un po' di più, soprattutto se comprate quello vanigliato che è un piacere solo pensarci.
Però se volete che la torta sia più buona ne dovete mettere poco, così è dolcissimo ma non dà fastidio in bocca, non si esagera.


Questo ha fatto questo film.
Ha addolcito la bocca, ha fatto sentire la vaniglia sulle labbra, ha riscaldato il cuore.
Una splendida torta margherita altissima e morbidissima appena sfornata.
Il riferimento alla torta margherita non è certo casuale.

La più semplice in assoluto, la più povera di ingredienti, la più basica.
Ma quanto è buona.
E' strepitosa appena la tiri fuori dal forno, ancora tiepida.
Ma è buonissima anche la mattina dopo, fredda e intinta nel latte.
(Cioè, i normali esseri umani fanno così, io piuttosto che pucciare qualsiasi dolce in qualsiasi bevanda mi ammazzo dal disgusto)

E così La città incantata. Lo guardi una volta, e quanto è bello. Te ne innamori. Poi lo vedi la seconda, la terza, la ventesima. Ed è sempre così incredibilmente bello.



La torta margherita, però, sembra facile ma è infida.
Bisogna saperla fare.
Se non sei capace ti esce stopposa, con i grumi, oppure troppo pastosa che per mandarla giù ci vogliono due scodelle di latte.

Dove voglio arrivare?
Che Miyazaki è un pasticcere strepitoso.
Ha cucinato la migliore delle torte margherite.
Ha sfornato un'opera dalla dolcezza incredibile, ma che non è mai stucchevole. MAI. Ha preparato una torta talmente leggera che mentre la guardi ti sembra che non stia lì, ma che aleggi nell'aria, che il suo profumo riempia la stanza.
E ci ha messo l'AMORE, perché non c'è certo bisogno di guardare la Clerici per sapere che cucinare per qualcuno è una grande dimostrazione d'amore.

Quando i film diventano poesia in immagini c'è ben poco che si possa dire per recensirli.
Si prendono così come sono, con tutte le emozioni che l'Arte, quando è tale, regala a chi ha la fortuna di poterne fruire.





giovedì 20 novembre 2014

B/W November: Miss Zombie

17:29
(Sabu, 2013)

Ho cercato migliaia di volte di centrare il punto del film con questo post, ma puntualmente elimino tutto e cerco di ricominciare.
E, ormai lo saprete, se io che sono logorroica rimango senza parole, è perché qualcosa mi ha colpito davvero.

La zombie del titolo è una giovane donna, morta e ritornata, che viene messa in vendita come 'animale domestico'. Nell'attesa che gli acquirenti la vengano a prendere, viene affidata alla famiglia di un distinto dottore, che la sfrutterà come donna di servizio.
Ma non solo.


Nessuno in questo film ha un nome, se non il bambino, unica creatura innocente in quella che sembra essere la rappresentazione più pessimista di un mondo depravato e sporco.
La zombie, arriva in questa casa, candida e ordinata, il padrone di casa viene chiamato 'dottore', ha un'elegante moglie dal viso molto carino e due operai che lavorano in casa, non si sa bene cosa effettivamente facciano. Siamo quindi in un ambiete altolocato, e chissà per quale ragione sociale o storica siamo convinti che le persone cattive siano invece dei bassifondi.
Ma il male non ha distinzione sociale, e questo Sabu ce lo mostra chiaramente.
Sia il famigerato dottore che i due operai di fronte alla creatura si comportano nello stesso identico modo.

Ora, è chiaro che parlando di zombie il discorso è diverso, non è che stiamo lì a porci il problema etico su come vadano trattati o meno. La questione viene considerata di scarsa importanza perché, sapete, gli zombie non esistono.
Questa ragazza va considerata come una generica persona in condizione di svantaggio. E' più debole, pertanto l'uomo, tronfio e amante della sua virilità, si sente in diritto di farci quello che ci pare.
E così fa.


Quindi, mi viene da chiedermi, è questa la nostra vera natura? E' così che siamo?
Appena la situazione volge a nostro favore, ne approfittiamo? Appena sappiamo con certezza che la nostra vittima non reagirà, appena sappiamo di avere più potere, più forza (fisica ma non solo) non ci facciamo più fermare da niente? Il nostro tanto vantato buonsenso quindi è solo una convenzione sociale? Nasce solo per tutelarci da quelle che sarebbero le conseguenze delle nostre azioni?

Non voglio pensare che sia così, non voglio credere che sia SOLO così.

Allo stesso tempo, però, nonostante cerchi di essere ottimista, esco scombussolata dalla visione.
L'altra donna della pellicola, la moglie del dottore, è vittima esattamente quanto la zombie.
Lei, stavolta, è vittima di se stessa.
Vede il marito violentare un'altra donna (?) ma non reagisce. Non urla, non strepita, non gli scaglia pugni sul petto, non piange. Si sdraia sul divano, sbarra gli occhi alla finestra, e muore dentro. Anche questa è violenza.
Perché tradire la donna che hai scelto di avere al tuo fianco per tutta la vita? Per stuprare un morto vivente? Perché è più giovane? Ha il culo più sodo forse? Perché tornare in casa e fingere che niente sia successo?
Come può una donna affrontare una realtà così bruciante? Come puoi avere al tuo fianco una persona per anni e in un secondo vederla trasformarsi in qualcosa che non conoscevi?


Miss Zombie è un film in cui l'umanità perde completamente di significato, l'essere vivi o morti non conta più, l'etica finisce sotto le scarpe.
Ti tortura con le continue immagini di lei (la zombie) pugnalata, presa a sassate, ma soprattutto sempre china a gattoni, a pulire il pavimento. Sempre, sempre, le immagini di questo sedere per aria che si muove al ritmo del movimento del lavaggio.  Così viscido, così sporco.
Allo stesso tempo, è un film grandioso, che si spoglia di ogni aiutino di comodo, come i colori o la musica. Ritornano solo per un secondo, quando ci sembra di vedere la liberazione. Ma poi spariscono di nuovo, lasciandoci la sensazione che l'unico modo per uscirne sia il modo definitivo.
(Uscire da cosa, poi? Dalla famiglia in cui sei schiavizzata e stuprata, o dalla condizione di zombie?)
Un silenziosissimo bianco e nero, che trascorre lentissimo e massacrante, quasi poetico.
Di certo non un film per tutti i palati, di certo.
Ma che film.


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