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lunedì 9 novembre 2020

Menzogna e sortilegio, Elsa Morante

18:39

 Da quanto tempo che non parlo di libri sul blog! Vediamo se sono ancora capace.

Consueta intro di fatti miei: io e la mia amica Martina ci siamo rese conto che, pur leggendo fino a perdere la vista, avevamo entrambe una vergognosa lacuna in tutto quello che riguarda la letteratura italiana del '900. Quindi, armate di pennarelli colorati e voglia di rimetterci a studiare, ci siamo create un mini gruppo di lettura composto solo da me medesima e lei nel quale ci leggeremo, in modi e tempi assolutamente casuali e caotici come siamo noi, i classici che ci mancano. Partiremo con la sacra trinità composta da Morante - Moravia - Calvino e proseguiremo dove ci condurranno i cuori.

Siamo partite, leggere come sempre, con le 700 pagine che hanno segnato l'esordio di Morante.




Brevissimo ma necessario accenno di trama perché, come è risaputo, le autrici donne a scuola non si studiano e se non ci si avvicina da sé non si sa manco di cosa hanno scritto. 

La narratrice è Elisa, e quella che ci racconta è la storia della sua famiglia e di come lei, rimasta sola, sia finita a vivere da una prostituta che l'ha accudita come una figlia. Ripercorriamo le vicende partendo da nonna Cesira, attraversando mamma Anna, il suo primo amore Edoardo e il futuro marito, papà di Elisa, Francesco. 


DA QUI SPOILER

Sapevo che avrei amato questo libro, nonostante della Morante avessi letto solo L'isola di Arturo, perché c'è una cosa di lei che stanno dicendo tutti: è piena di elementi in comune con Ferrante. Chi è una delle mie autrici preferite della storia del mondo? Ferrante, esatto. Sapevo già che questo tipo di storie parlavano dritto ai miei sentimenti e che c'erano anche grandi probabilità che avrei sofferto come un cane. 

Spoiler: ho effettivamente sofferto come un cane.

Posto che non sta a me dirvi l'importanza, nella letteratura del '900, di Morante e di un libro come Menzogna e sortilegio, parliamo di come una lettura del genere può segnare il singolo lettore più che tutta la letteratura successiva. Forse il fatto che oggi Ferrante pianti i picchetti sulle classifiche e non si schiodi da lì per settimane qualcosa, comunque, ce lo dice. 


Quando si parla di saghe familiari si parla di una e si parla di tutte, soprattutto quando lo si fa come lo fa Morante qui. L'approfondimento con cui i suoi personaggi ci sono presentati è tanto dettagliato, tanto accurato, che riesce quasi difficile credere che siano inventati. Non c'è clemenza nel ritrarre queste persone, non si indora mai la pillola: sono persone difficili, che vengono da contesti difficili. Non c'è mai distinzione di classe, in questo. Laddove Anna e Francesco vengono da realtà umili con tutto quello che questo comporta, Edoardo viene invece da una famiglia ricchissima, ed è tanto difficile quanto gli altri. La differenza principale sta nella possibilità di scelta: Edoardo ha avuto modo di fare la vita che desiderava, di muoversi nel mondo a suo piacimento, di fare delle persone quello che più gli aggradava, sempre. Anna e Francesco, come Cesira prima di loro, sono stati costretti ad una vita di scelte. Di studi, di relazioni, di lavori. Nel loro caso sono sempre stati i soldi il pilota della vita: mollare gli studi per andare a lavorare, sposare una persona detestata per avere almeno da mangiare, vivere con persone che non si amano per avere un tetto sopra la testa. 

Pur non giudicando mai attivamente i propri personaggi, Morante riesce a mostrare come sia proprio il rapporto con la povertà a distinguerli uno dall'altro. La sporca, degradata, dignità di Damiano, padre di Francesco, e lo spirito di sacrificio pieno di amore di Alessandra, la madre, si contrappongono alla vile inettitudine di Anna, che rifiuta di dare qualsiasi contributo economico per contribuire al sostentamento della famiglia, ripudiando l'idea del lavoro fin dall'infanzia. Eppure, Damiano viene ignorato, umiliato, lasciato, e Alessandra abbandonata, mentre Anna è destinataria di un amore cieco e disperato, proprio da parte delle persone che odia di più.

In ognuno di loro tutti abbiamo qualcuno da riconoscere. Un dettaglio, un modo di dire, un atteggiamento. Sono così comuni eppure così rari, così vivi eppure così lontani nel tempo, che sta a noi poi applicarli in quello che conosciamo. E una volta fatto, sono ovunque. 

Quello che fa Morante è mostrarceli così come sono. Elisa è un narratore non affidabile per forza di cose, perché parla di cose troppo care a lei per essere sempre completamente oggettiva, ma è talmente lucida su cosa influenzi il suo giudizio che alla fine il ritratto che fa di tutti ne esce comunque onesto. 

Nei giorni in cui leggevo la parte sull'infanzia e la gioventù di Francesco sono stata parecchio messa alla prova. Non entrerò più di tanto nei fatti miei dei quali può anche giustamente fregarvene molto poco, ma ha colpito in punti così chirurgicamente precisi, facendo ritratti a me così familiari di una situazione umile in cui si cerca disperatamente di restare dignitosi che a volte ho dovuto accantonare la lettura. Quel tipo di distanza che Elisa ha dovuto prendere per analizzare le cose io ancora non sono pronta a prendermela. 


Per cui sì, penso sia evidente che un libro del genere vada letto e studiato a scuola. Da singola lettrice, però, mi sento di consigliarvelo con cautela: ci potreste trovare da un momento all'altro la vostra vita dentro. 

giovedì 27 luglio 2017

Lamento di Portnoy, Philip Roth

16:48
Lo sapevo che prima o poi sarebbe scoccato l'amore tra me e Roth. Se La macchia umana mi era piaciuto ma non mi aveva fatto gridare alla nuova passione della mia vita, ecco che Lamento di Portnoy mi ha fulminato.
Ciao Philip, è un piacere amarti, approfondiamo la nostra conoscenza.


Alexander Portnoy è un uomo bianco ebreo. E se non vi dicessi che il libro è di Roth lo potreste intuire da questo. È dallo psicanalista, e in un lungo monologo ci racconta la sua vita, soffermandosi sulla sua erotomania (è una parola?) e sul rapporto con la madre e con le tradizioni ebree così radicate nella sua famiglia.

Conosciamo Alexander e la sua famiglia fin da quando lui è piccino. Non lo conosciamo solo attraverso il racconto che lui fa di sè e della sua storia ma anche attraverso il modo in cui gli altri, soprattutto i suoi genitori, lo vedono. Questo perché Alexander è sempre stato sveglio (magari non l'Einstein Secondo che crede - letteralmente - la madre, ma è intelligente) e osserva in modo inusuale e profondo la sua famiglia. Si conosce e li conosce alla perfezione, cosa per nulla scontata, e con la sua prorompente personalità ce li racconta tutti. Sa che sua madre morirebbe a saperlo così, ma non smette per un istante di provocarla, quella povera donna pazza.
È un personaggio gigantesco, invadente, che non lascia alcuno spazio al lettore. Se lo prende tutto e lo invade con il suo fiume di parole come se fosse un blob informe. Ma quanto è divertente.
Perché sì, il solito perculo della società che piace tanto alla critica ben più seria di me e blablabla. Ma quanto fa ridere Philip Roth quando vuole?
In Lamento di Portnoy lo vuole tantissimo.
Che scandalo.

La volgarità è per me soggettiva. Quello che scandalizza me non tocca altri e viceversa. (Elena, però, amica mia, se stai leggendo questo post stai lontana da Portnoy.) Il sesso è il centro della vita di Alexander, che non fa altro che parlarne, e parlarne, e parlarne, ad un povero terapeuta che finita la seduta si sarà calato una camomilla fredda in vena.
Nel '69, però, quando un certo signorino si mise in testa di scrivere le sporcacciate, tutta l'America inorridì eccome, altro che volgarità soggettiva, ché certe cose si fanno ma guai a parlarne. E lui, che è più intelligente di tutti noi, ne parla invece, eccome. Ne parla con il suo fare deliziosamente perculatorio e senza paura.
Inarrestabile uragano Roth.


giovedì 27 aprile 2017

Non solo cinema: La macchia umana

13:58
Se siete passati per questo blog anche solo più di una volta sapete che la mia passione più grande sono le parole, in tutti i loro utilizzi: nella musica, nel cinema e, naturalmente, nei libri.
Quando lo stile dell'autore passa sopra a quasi tutto il resto è inevitabile finire prima o poi tra le braccia di un certo signore, Philip Roth.


La macchia umana, considerato da molti il suo capolavoro, è la storia di Coleman Silk, stimatissimo professore universitario che perde credibilità e lavoro dopo un'accusa di razzismo. Usa la parola sbagliata nel momento sbagliato e ciao, anni di lavoro in fumo. Un anno dopo perde la moglie, Iris, e finisce per intraprendere una relazione con una donna ben più giovane di lui, Faunia. Da rispettabilissimo membro della società, allora, Coleman diventa scandaloso. Razzista, manipolatore di donne giovani e analfabete, giusto giusto nel periodo in cui il sesso agli statunitensi faceva così orrore, dopo che il Presidente si era messo a fare lo sporcaccione con la stagista.

Arriverà un punto, durante la lettura, in cui crederete che ci sia stato un errore. Se siete impazienti come me vi ritroverete a cercare su Google delle risposte. Cattiva traduzione? Errore di editing? Possibile?
No, infatti.
È solo che Roth (e Coleman) vi hanno preso per il culo per un'ottantina buona di pagine. Avete conosciuto una realtà, l'avete assimilata e presa per assodata. Avete analizzato la vicenda narrata alla luce di questa premessa. Poi, una volta messi comodi ad assistere alla disastrosa discesa della carriera di quest'uomo, ecco che viene svelata la sua macchia. Quella vera, però, mica quell'accusa di razzismo che col tempo assume connotati quasi tragicomici.

Da quella pagina in poi, dallo svelarsi del segreto con cui Coleman convive da almeno 50 anni, il libro assume aspetti nuovi, ben più intriganti degli scandali di cui Coleman si era macchiato fino a quel momento. Da lì è il concetto di identità stesso che viene preso, infilato in uno shaker e rimescolato. Silk è ben diverso da quello che credevamo, non tanto per la natura del segreto (ma quanto è difficile parlare senza dire spoiler?) ma per le sue ragioni e le sue implicazioni, per quello che Coleman è diventato in seguito al suo cambio vita e per quello a cui ha dovuto rinunciare. Se all'inizio il personaggio era 'solo' un illustre preside di facoltà che aveva perso la rispettabilità, ora è tutta la sua vita che viene letta sotto una nuova luce: i suoi rapporti, le sue scelte, le sue possibilità, la sua carriera. Va tutto riletto con l'ottica di un uomo che ha cercato di aggirare un sistema intero e ci è riuscito, per quanto paradossale possa sembrare.

Come se questo non fosse sufficiente a fare del romanzo un testo incredibile, è il modo in cui è scritto a renderlo quasi miracoloso. Ci sono certe coppie di aggettivi che rasentano la pornografia lessicale. È fluido, quasi musicale, armonioso, pieno di descrizioni (in particolare delle donne di cui Coleman si circonda) che ho letto e riletto nella speranza che siffatto talento entrasse per osmosi nel mio cervello.
Non credo abbia funzionato.
Nel dubbio, adesso ci riprovo e leggo Lamento di Portnoy.

giovedì 20 aprile 2017

Non solo cinema: Il Monaco

15:36
Che voi amiate la letteratura dell'orrore, il mondo dei brividi in genere, o meno, io dico gotico e a voi vengono in mente tutta una serie di immagini. Provo ad indovinare? Se vinco sono gradite ricompense in denaro.
Ragnatele. Antiche residenze vittoriane, meglio se in decadenza. Lunghi abiti damascati, con i tessuti pesanti. Lampade ad olio. Fantasmi, soprattutto fantasmi.
Ci ho preso?
Nell'immaginario comune al gotico corrisponde quel mondo lì, e la cosa più bella di tutte è che l'immaginario comune ha ragione. Devo ammettere che quell'immagine lì è estremamente riduttiva, ma se quell'idea lì, quell'atmosfera lì, vi fanno friggere dall'entusiasmo, la cosa giusta da fare è mollare questo piccolo blog e prendere in mano il grande, gigantesco (ma non per dimensioni) libro di Lewis.
Tanto per chiarire la mia posizione a riguardo: di tutti i sottogeneri che compongono il fantastico, il gotico è tra quelli che preferisco. Sembra che mi appartenga, per atmosfera, morbosità, romanticismo.


Il monaco del titolo risponde al nome di Ambrosio. Il più pio, santo, vicino al Signore monaco di Madrid. Ambrosio in monastero ci è cresciuto: abbandonato in fasce dalla madre è stato accolto e accudito dai frati cappuccini. Tutta la città accorre alle sue ammirevoli prediche, in estasi di fronte alla bellezza, fisica ma soprattutto spirituale, del frate. Alla prima messa facciamo la conoscenza degli altri personaggi che popolano il romanzo: la bella e ingenua Antonia e il giovane Lorenzo, per dirne solo due.

Sarà difficile andare con ordine e cercare anche di non rivelare troppo di una trama che vale davvero la pena di essere spolpata senza rivelazioni. La storia è un gomitolo di racconti, legati dal filo comune della santità perduta, della Chiesa delusa, del peccato.
La Chiesa è la grande protagonista: se la maggior parte della vicenda ha luogo tra i frati, hanno un ruolo fondamentale anche le suore. Fa quasi ridere che in realtà Dio non sia quasi mai nominato. Tutto il clero è ritratto come un corpo unito, all'inizio. L'intero convento è innamorato di quel Sant'Ambrosio, tutti i frati gli sono devoti, incapaci di vedere in lui la minima scintilla di peccato. Rosario, in particolare, la cui compagnia è la prediletta di Ambrosio stesso, pende dalle sue labbra.
Ah, già, ma Rosario è una donna.
Da questo momento, dal punto in cui una certezza così forte viene sradicata, tutta la compattezza dei corpi religiosi finisce lentamente in frantumi. Ma nessun baccano di vetri rotti. Lo sfaldamento è lento e doloroso. Dalla pagina in cui viene rivelata l'identità del giovane frate, niente nel romanzo è più lo stesso. Da lì in avanti ogni pagina sarà un passo in avanti verso l'abisso della perdizione, da lì in poi non c'è ottimismo, non c'è soluzione: perduto Ambrosio, è perduto tutto.
Ambrosio, infatti, l'ha vinta facile fino a quel momento: mai uscito dal convento, mai incontrata una donna se non in chiesa, mai visto il mondo con occhi profani. In un secondo, in una notte rivelatoria, tutta la sua santità è perduta.
Se noi poveri peccatori siamo ormai usi al nostro errare e quindi siamo molto rapidi nel perdonarci e farci perdonare (proprio dagli Ambrosi, peraltro, con la confessione), ecco che lui, inciampato una volta, è andato per sempre. Non esiste recupero, non esiste risalita. È come quando sgarri in un giorno di dieta: 'Va beh, mangio anche le patatine fritte, tanto ormai ho mangiato la pizza.'
E se i frati, rappresentati dal loro superiore, non ne escono bene, dovreste vedere la fine che fanno le suore.

Intorno a questi conventi, ci sono i laici: uomini di mondo, peccatori, innamorati, ingenui, amici fedeli o miserabili criminali. Non ne manca alcuno, nel romanzo.
La storia, quando potrebbe migliorare e ridare speranza, non fa che trascinarsi sempre più a fondo, in ritratti di umani, laici o meno, che vivono in virtù dei loro peccati, dei loro errori imperdonabili. Intorno a loro, i due volti candidi del romanzo, Lorenzo e Antonia, unici ingenui privi di vizi che vivono nel mondo di Lewis.
Ogni pagina, ne Il monaco, è un gradino verso la graduale discesa all'inferno di Ambrosio e di chi stia leggendo la sua storia. Si inizia con un errore e si finisce con un'anima perduta per sempre.
Il tutto in un romanzo che, farcito di perversione e passione, trasuda un fascino incontrato poche altre volte in vita mia. Si passa dal romanticismo, alla morbosità, ai demoni, ai fantasmi, alla violenza, ai segreti. Il tutto senza mai stroppiare, senza mai farsi sentire indigesto, mettendoci a disagio senza passare per una volgare fiera delle vanità al contrario.
È un capolavoro.
Amen.

giovedì 6 aprile 2017

Neil Gaiman

13:33
Con cos'altro avrei potuto ricominciare?

DISCLAIMER: POST INFINITO

Un giorno ero in auto con Riccardo. Sfoglia alcune foto sul cellulare, ne passa una, simile a questa, se non proprio lei:

(è ancora la mia immagine preferita di Morfeo)
Mi colpisce molto, chiedo chi sia. Mi viene raccontato di Morfeo, del fumetto di cui è protagonista, mi viene consigliato, sempre per quel principio che vuole che Riccardo sappia esattamente cosa mi piacerebbe. Me lo procuro, quindi. Finisce così. Oggi leggo molti più fumetti di un tempo, ma niente, niente, si avvicina a Sandman.
Capisco durante la lettura di avere incontrato uno di quei cervelli che mi parla. Ognuno di noi incontra in certi artisti quelli che parlano direttamente al nostro cuore, che sembrano avere un linguaggio fatto su misura per le nostre necessità. Chissà perché, forse per affinità di sensibilità, per temi comuni, per passioni condivise. Per me queste persone sono due: Neil Gaiman, chiaramente, e Guillermo Del Toro, come vi dicevo qui.
Inizia quindi un percorso monotematico, che si prende un ramo del mio tempo e mi porta a non voler far altro che scoprire ogni cosa possibile sul signore in questione.
Se decidete di entrare in questo singolare mondo, e portarvici è quello che spero di fare con questo post, preparatevi a vedere il vostro, di mondo, cambiare. Lo vedrete riempirsi di tenerezza, e colore, e magia. E di arte, in tutte le sue forme.
Non voglio, quindi, solo parlarvi di come io vedo e amo Gaiman, ma voglio accompagnarvi attraverso una carrellata di cose che ha detto o scritto, per cercare di farvelo amare anche solo la metà di quanto lo ami io. Fare una selezione è stato difficilissimo, perchè NG è l'uomo più prolifico del mondo. King scrive tanto, ma ho l'impressione che Gaiman lo batta. Non solo libri per adulti e ragazzi, fumetti, raccolte di racconti, saggi e sceneggiature. No, lui scrive anche per i libri degli altri: compri un libro fotografico? Introduzione di Neil Gaiman. Libro su Guillermo Del Toro? Brano di Neil Gaiman. Libri sulla scrittura creativa? Indovinate saggio breve di chi.
Pensate di potergli sfuggire, ma non è così.
È Ovunque.

Capite? Non lo fermerete mai. (dal suo Tumblr)

Intanto, le presentazioni.
Neil Gaiman è lui:


Ora, io ho scelto una foto che gli rende particolare giustizia, ma sappiate che ha anche i capelli del creativo folle e incontrollato, scappato dritto dritto da Montmatre. Me lo immagino sempre così, circondato di fogli volanti pieni di annotazioni e con le penne infilate dietro le orecchie, che poi è il modo in cui immagino tutti gli artisti.

La caratteristica principale di NG è quella di conoscere molto bene le regole. Le studia, le approfondisce, le fa proprie. Poi le prende, le appallottola e le lancia lontano. Le ribalta, creandone di nuove, imponendosi di non avere confini, di non farsi vincolare in concetti che non servono a niente se non a ribadire se stessi. Non esistono etichette, generi, target prefissati.
Un esempio?
Neverwhere si apre con un prologo, come un impressionante numero di libri. Ma dove sta scritto che deve essere solo così? NG di prologhi ne fa due.


Per qualche motivo la cosa mi ha fatto ridere fino alle lacrime.
Sempre Neverwhere è fonte di un'altra riflessione. C'è una scena, che adoro, in cui il protagonista deve essere accompagnato ad una destinazione. Si arriva quindi alla metropolitana, convenzionalmente mezzo che ti conduce alla destinazione. Per NG no. La metro è la destinazione. E se sembra una cosa di poco conto, per me è invece la capacità di vedere al di là delle cose, di saltare l'ostacolo delle cose che abbiamo sempre saputo per crearne di nuove.
Cosa sono le stelle? Corpi celesti? E chi dice che non siano ragazze scontrosette invece, come in quel candore di libro che è Stardust? Voi direte: beh? è solo uno scrittore di fantasy! Che c'è di speciale?
C'è che non è vero, che non possiamo vincolare una creatività così ad un genere. Lui riscrive il mondo, gli dà una luce nuova. Apre la mente come solo gli Artisti sanno fare.

Non è un caso che i due grandi amori artistici della mia vita siano proprio Guillermo Del Toro e Neil Gaiman, perché i due hanno una gran cosa in comune. Insieme a loro mi viene da pensare anche a Miyazaki, per esempio. Parlo della capacità che hanno in quanto creatori di fantastico di rendere migliore il mondo reale. La magia del creare qualcosa che non esiste sta nell'essere in grado di renderla non solo un'evasione dal quotidiano ma anche un'ispirazione, una motivazione, un esempio, che non serva solo a gestire la vita reale ma anche, e soprattutto, a renderla migliore. Questa è una cosa che ha detto la signora JK Rowling, che di fantastico un paio di cosine le sa. L'intervistatrice, o chi per essa, parla delle lettere di Hogwarts, e dice che tutti ci siamo illusi di riceverla. Forse era uno scambio su Twitter. Veniva sottolineato proprio il fatto che tutti l'avessimo effettivamente ricevuta, ma solo nella fantasia. Rowling ha dato una risposta splendida:
«Certo che è stato solo nella fantasia, ma questo non significa che non sia vero.»
Se nel caso di Harry Potter il fenomeno è di ben altra scala, con NG questo fenomeno si verifica in ogni romanzo. Io sono stata a vivere in un cimitero con quel personaggio indimenticabile di Nobody Owens, sono stata oltre Wall e nella Londra sotterranea. Sono stata nel mondo dei sogni e all'inferno. La salita e la discesa tra i mondi in cui questo uomo bambino mi ha condotto sono state talmente dolci da non avermi mai fatto sbattere le chiappe per terra. Il suo modo di prenderti per mano è accompagnato da parole di una tenerezza che non ho incontrato in altri. A volte lo leggo e sorrido, e basta. Perché è in grado, con le stesse parole con cui noi comunichiamo per comprare un etto di prosciutto, di emanare vapori di candore infiniti, come se la sua anima non conoscesse le brutture del mondo.

Per farvi un esempio di quello che intendo, quello che segue è l'inizio di Stardust. Sorridete?
Anche io.

C'era una volta un giovane che desiderava ardentemente soddisfare le proprie brame. E fin qui, per quel che riguarda l'inizio del racconto, non v'è nulla di nuovo (poiché ogni storia, passata o futura, che narri di un giovane potrebbe cominciare alla stessa maniera). Ma strano era il giovane e strani i fatti che lo videro protagonista, tanto che egli stesso non seppe mai come andarono veramente le cose.

Leggendo questo articolo del Guardian, trasposizione di un discorso di Nostro Signore, si capisce quello che lui con i suoi libri cerca di raccontarci: un infinito e spassionato amore verso la letteratura, verso quello che le storie ci regalano quando sono raccontate come meritano.

È facile con persone del calibro di Gaiman confondere il creatore con la persona. Tale stupefacente genuinità non può stare in un'anima sporca. Un esempio anche di questo? Ce l'ho:

risposta diventata virale non a caso
E se non vi bastasse, vi dirò anche questo: la grandezza di un uomo si vede anche dal modo in cui parla degli altri. Neil Gaiman è una fangirl. Lo nasconde bene, vuole fare il duro, ma quando parla di quelli che ama lo fa con un tale affetto e con una stima talmente forte da trasparire da ogni parola. Non vi linkerò ogni video presente sul tubo in cui Neil parla bene di qualcuno, vi lascio il suo ricordo di Terry Pratchett, con cui ha scritto quella delizia di Buona Apocalisse a tutti! 



Ma come? Un post intero sul suo autore e neanche un accenno ad American Gods, uno dei romanzi migliori scritti negli ultimi decenni?
No. Il primo maggio esce la serie e io sono in ritiro spirituale.
L'avete visto il trailer? Parliamone, abbracciamoci, rileggiamolo, amiamoci. Facciamo un gruppo di lettura? Uno di sostegno?
Piangiamo.

Per concludere, vi lascio a Lui. Le sue parole, in un quarto d'ora, annulleranno ogni mia virgola scritta qui, o forse ne daranno solo conferma, in quel modo speciale e nasale che ha Lui di dire le cose.



giovedì 12 gennaio 2017

Non solo cinema: Le ragazze

14:36
Casco sempre, SEMPRE, nelle fissazioni del web. A settembre è uscito Le ragazze, romanzo d'esordio di Emma Cline ispirato alle vicende che hanno coinvolto la setta di Charles Manson nel 1969. Omicidio di Sharon Tate e tutto il resto. Il mondo grida al miracolo, io mi metto in coda nella media library online (ne parliamo presto in un post) e finisco per leggerlo solo ora, a gennaio.
È davvero una bomba come dice l'internet?
Sì.


Protagonista è Evie, una quattordicenne come mille altre. Ha una sola amica, una cotta per il fratello maggiore di lei, due genitori troppo presi dalle proprie vite per badare a lei come si deve. È, insomma, sola come un cane. Quando al parco incontra un gruppo di ragazze ne resta affascinata, al punto da cercare il modo di diventare una di loro. Una, in particolare, la colpisce: Suzanne. Sarà Suzanne il suo punto di riferimento principale all'interno della setta in cui Evie sta inconsapevolmente finendo. Guru di questa comune è Russell.

Venivo da un periodo di grosso blocco letterario: un po' il mio turno di mattina al lavoro mi fa crollare dalla sonno ad orari da ospizio Mariuccia, ma soprattutto provengo dalla delusione cocente di un Williams che non mi è piaciuto. (Nulla solo la notte.) No, non sono pronta a parlarne. Iniziavo libri e poi li abbandonavo di fianco al mio letto, ignorati e miserabili. Poi, la Cline è arrivata e mi ha fulminato. Le ragazze me lo sono divorato in due giorni. È una storia scritta in modo leggerissimo, senza fronzoli nè ricerche stilistiche particolari, che scorre rapidissima, riuscendo però a non essere nemmeno una fredda documentazione. Ci è raccontato l'interno agghiacciante di una setta, e la realtà è già talmente dura che gli aggettivi e gli avverbi sarebbero superflui.
Evie è giovanissima, io a 14 anni sapevo a malapena le mie generalità, e si trova sola: i genitori sono uno altrove con la nuova fiamma e l'altra troppo concentrata a riprendersi dal divorzio, la sua migliore e unica amica l'ha piantata in asso e il suo solo interesse sembrano essere quelle ragazze incontrate al parco. Con una scusa le avvicina, e inizia a frequentarle. Loro la portano in un ranch, in cui vivono con altre persone, all'insegna della condivisione, del contatto con la natura, della liberazione dai problemi, dall'indipendenza dalle dinamiche della società. Guru di questa comune è Russell, aspirante cantante di successo.

L'esplorazione della Cline delle dinamiche interne alla setta è superba. Le ragazze che all'inizio appaiono agli occhi di Evie (che,ricordiamolo, ha solo 14 anni) come estremamente libere e attraenti, il ranch inizialmente perfetta definizione del sogno di ogni adolescente. Il vero punto forte del romanzo è che dimostra perfettamente quanto sia facile cadere in tranelli come quello di Russell - Manson. Gli adolescenti credono di essere pieni di problemi, si sentono sotto pressione e incompresi, io per prima sono rientrata alla perfezione in questa definizione. Ecco che allora Russell offriva un'alternativa succosissima: un luogo in cui vivere in pace, senza timore di deludere le aspettative degli altri, senza sentirsi costretti in ruoli in cui non ci si riconosce, in cui non si deve essere la donna di qualcuno per contare. Un paradiso in terra. Il confine sottile tra questo e la viscida realtà si supera molto presto, quasi subito. Emma Cline è bravissima nello sfumare lentamente tra la lucidità di analizzare la situazione e l'attrazione irresistibile che Evie prova per la setta e per una delle ragazze in particolare.
Le ragazze danno il titolo al romanzo perchè sono la parte più rilevante della setta. Se Russell ne era il capo, erano loro il braccio. Succubi della sua figura carismatica ma molto, molto più forti di lui, che a conti fatti si è rivelato un codardo. Loro andavano a rubare per il ranch, loro portavano adepti, loro dormivano con le persone per ottenerne favori. Da solo non sarebbe andato da nessuna parte. Senza le ragazze oggi probabilmente Sharon Tate sarebbe viva.

Le ragazze è attualissimo pur raccontando una storia degli anni 60, ed è un ottimo romanzo da regalare alle persone che hanno a cuore la questione della parità dei sessi. È un romanzo sulle donne e quindi sul mondo intero, perchè parlando di qualcuno parla di tutti. 

giovedì 8 dicembre 2016

Non solo cinema: Stardust

13:27
In questo post qui post palesavo per la prima volta su questi schermi il mio amore folle e sconsiderato nei confronti dei capelli peggio gestiti della letteratura contemporanea: quelli appartenenti a Neil Gaiman.
Abbiamo parlato di Sandman, il fumetto che più di ogni altro si avvicina alla definizione di opera d'arte. Oggi parliamo di Stardust, quel globo di tenerezza da cui è stato tratto un film di cui noi non parliamo.


Di solito non riporto mai citazioni, perché mi piace che la lettura sia un'esperienza priva di influenze, ma vi riporto l'inizio di Stardust perchè secondo me è bello da morire e anche fortemente indicativo di cosa ci aspetta nelle pagine successive:

C'era una volta un giovane che desiderava ardentemente soddisfare le proprie brame. E fin qui, per quel che riguarda l'inizio del racconto, non v'è nulla di nuovo (poichè ogni storia, passata o futura, che narri di un giovane potrebbe cominciare alla stessa maniera). Ma strano era il giovane e strani i fatti che lo videro protagonista, tanto che egli stesso non seppe mai come andarono veramente le cose.

Vi stupisce? Che parli di ragazzi che però sono strambi e che racconti storie che però sono strambe? Non è esattamente quello che cerchiamo quando apriamo un libro di Neil Gaiman?
Ma soprattutto, Neil Gaiman è diventata anche nel vostro linguaggio una parola sola? Nilgheiman?

Lo strano giovane si chiama Tristran, è figlio di un umano e di una creatura fatata, e cerca una stella. Questo perché la fetentona di cui ha avuto la sventura di innamorarsi l'ha sfidato: 'Portami la stella che è appena caduta, e io ti sposo.'
Non si scherza con i figli delle fate.

Lo sentite? Ascoltate bene? Il profumo di tenerezza. L'aleggiare della magia?
Nilgheiman sa esattamente cosa scrivere (e come scriverlo), per mandare in bamba il mio cuore.
La scena da cui la ricerca della stella ha inizio ha inizio più o meno così: lo sfigatello garzone di bottega che prega la ragazza più bella del villaggio di poterla accompagnare a casa. Elemosina un bacio, gli viene negato. Osa addirittura proposte matrimoniali, negate anch'esse. Si lancia in una serie di sdolcinate promesse, di quelle fatte da un cuore che ha perso la lucidità ('Ti porto le proboscidi degli elefanti!'), ma nemmeno quelle scalfiscono il cuore di pietra della giovane. In quel momento, però, una stella ha l'ardire di cadere. E lei, che si crede furbissima: 'Portami quella stella e sarò tua moglie!'

L'avete sentita, la dolcezza? Non pretendo certo che un riassuntino da piccolo blog provinciale renda l'atmosfera reale di Stardust, ma spero di avervi reso l'idea di come mi sia trovata durante la lettura. Riassumerei la situazione con: avevo il sorriso da ebete.
Nilgheiman ha il cuore genuino e purissimo di un infante e la capacità spettacolare di lasciarlo scorrere tra le parole con una naturalezza tale da lasciar immaginare il momento in cui simile tenerezza sia uscita dalle sue mani. Lo immagino veloce, quasi compulsivo, isolato dal cattivo mondo reale che non può influire quando si scrive la Bellezza.
Non voglio farvi credere che Stardust sia un capolavoro della letteratura, ma è una favola. Sia nel senso letterale che in quello metaforico. Sono più o meno sicura che non funzioni esattamente così la stesura di un romanzo, ma non ho alcuna intenzione di scalfire la mia immagine di Lui al lavoro.

In mezzo alla semplicità dei buoni sentimenti favolistici che Nostro Signore Neil mette per iscritto ci sono mille avventure, bizzarri (ma và?) compagni di viaggio, locande in cui si rischia di morire avvelentati ma soprattutto UNICORNI.
E con questo ho detto tutto quello che serve per convincervi, immagino.
Ci sono gli unicorni.


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giovedì 1 dicembre 2016

Non solo cinema: Chi è morto alzi la mano

13:04
Ai tempi delle scuole superiori avevo dei gusti squisitamente di merda. Vestiti, non parliamone. Ragazzi, stendiamo un velo pietoso. Libri: Coelho e tutta una sfilza di mediocri scrittrici di gialli, Patricia Cornwell e Mary Higgins Clark uber alles.
Ovvia conseguenza di questi traumi liceali è che oggi i gialli non li tollero. Un solo nome ha resistito al sopraggiungere del mio snobismo: Fred Vargas. 


Io spero, SPERO, che abbiate letto almeno un Vargas nella vostra vita, ma se sventuratamente non l'aveste fatto, Chi è morto alzi la mano è quello con cui vi prego di iniziare.
Il lavoro di Vargas conta due saghe principali: quella del commissario Adamsberg, popolarissima e amatissima principalmente per merito del commissario Adamsberg stesso (ma che non mi si tocchi Danglard perché scoppia la primavera araba) e la Trilogia degli Evangelisti, di cui Chi è morto alzi la mano è il primo volume.
Caratteristica comune di tutti i libri di Vargas è la bellezza dei titoli: Un po' più in là sulla destra, Parti in fretta e non tornare, Sotto i venti di Nettuno e Nei boschi eterni sono solo alcuni esempi.

Il libro si apre con quello che, ad oggi, è il miglior incipit che io abbia mai letto. Harry Potter fa eccezione per ovvi motivi (qui il post). Abbiamo una coppia che si sveglia la mattina, si alza per fare colazione e tutto sembra perfettamente normale, se non fosse per una bizzarra consapevolezza. Nel loro giardino qualcuno ha piantato un albero. Non semini che cresceranno rigogliosi, non un bonsai, non un mazzo di fiori. Un faggio. Esilarante.

Credete che io sia impazzita e mi sia messa a consigliarvi gialletti da spiaggia?
Non è così. Il mio snobismo è tranquillo al suo posto.
Vargas è BRAVISSIMA, usa le parole in modo semplice ma efficacissimo, ogni suo romanzo ha vicende inconsuete e vivaci. Il suo punto di forza, però, sono indiscutibilmente gli indimenticabili personaggi. Adamsberg da solo potrebbe reggere l'intera saga, ma è comunque circondato da un commissariato brillante e variegato. I miei veri eroi, tuttavia, sono gli Evangelisti. No, non sono adepti di una setta religiosa pronti a diffondere il verbo, sono tre storici. Vivono insieme ad uno zio, Vandoosler, e comunicano all'interno della loro gigantesca casa tramite colpi di scopa sul soffitto. Il loro essere chiamati gli Evangelisti deriva dal superbo perculo attuato dal vecchio Vandoosler, per cui Marc, Mathias e Lucien sono diventati san Marco, san Matteo e san Luca. Si conoscono quando sono tutti pieni di sfighe fino al collo, e si fanno amare da subito.
Chi è morto alzi la mano, in particolare, è ambientato nel mondo dell'opera, con soprani scomparsi e rivalità tra prime donne.

Dovete aspettarvi un nuovo Delitto e castigo?
No, dai.
Ma un giallo leggero e divertentissimo, con personaggi pazzeschi, tanta coerenza e idee bislacche sì, e se siete appena usciti da una lettura impegnativa (Infinite Jest, per fare un esempio) Vargas è la migliore a cui appoggiarsi, perché ok alleggerirsi l'animo e la mente, ma evitare Fabio Volo, per esempio, è auspicabile.
Con mia grande gioia i libri leggeri non sono tutti scritti da degli incapaci smaniosi di denaro, e se avete già finito tutti gli Hornby disponibili, gettatevi tra le accoglienti braccia di questa signora francese, perché poi uscirne vi sarà impossibile.
Buon divertimento.




Se vi ho intrigato ma non vi fidate abbastanza di me da acquistare tutta la trilogia, qua il link per il primo volume:
Chi è morto alzi la mano

Se invece per qualche bislacco motivo vi ho incuriositi abbastanza da farvi fare lo shopping intenso, qua i tre libri insieme:
Trilogia I tre Evangelisti

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