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mercoledì 18 marzo 2015

Non solo cinema: Abbiamo sempre vissuto nel castello.

09:35
Ogni recensione o pseudo tale di questo libro che si trova in giro si apre raccontando che il buon Stephen King ha dedicato alla signora Jackson il suo libro L'incendiaria, dicendo piu' o meno cosi':
A Shirley Jackson, che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce.
 Ebbene, un motivo c'e', se tutti finiamo a tirare in ballo il Re, per descrivere la tenera Shirley Jackson. Perche' lui ha sempre la capacita' di dare la perfetta definizione a qualsiasi cosa, nel modo apparentemente piu' semplice e banale possibile. E questa volta non e' da meno, perche' mentre si sfoglia Abbiamo sempre vissuto nel castello la sensazione e' proprio di leggerezza (solo apparente, non fatevi ingannare), di pacatezza, sembra DAVVERO di stare leggendo qualcuno talmente in grado di fare quello che fa da non avere bisogno di imporsi sbraitando, di sgomitare per colpire.
Finisce per colpire comunque, e quando il colpo e' inaspettato la botta e' piu' forte.

In seguito ad una terribile tragedia familiare, le due sorelle Merricat e Constance rimangono a vivere sole nella tenuta di famiglia con il vecchio zio Julian. Sono quasi completamente isolati dal villaggio, poiche' tutti ritengono Constance colpevole dell'omicidio di diversi membri della famiglia. Complessivamente pero' se la cavano bene, le due sorelle sono legatissime e lo zio e' una compagnia piacevole.
A rovinare il clima e la routine arriva il cugino Charles.

Io ho un immenso problema con l'autorità. Riconosco e rispetto quelle ovvie, genitori, professori, forze dell'ordine, datori di lavoro. Ma quando una persona che sta sul mio stesso livello si permette di cercare di esercitare su di me un'autorità che nessuno le ha concesso allora quello che provo è un odio infantile e violentissimo.

Figuratevi sto cugino Charles, apriti o cielo. La Jackson con un solo, viscido e insulso personaggio è riuscita a farmi salire la bile in gola. E io di solito non me la cavo male con la gestione finzione/realtà. Fatta eccezione per un caso di cui parleremo presto. 

Il suo arrivo turba un equilibrio apparentemente perfetto, in cui convivono le due sorelle, che si destreggiano e combattono contro il mondo insieme.
Si, il mondo, perché le sorelle Blackwood non escono mai di casa. Merricat va al villaggio per le funzioni necessarie, ma per il resto del tempo vivono completamente isolate. I loro genitori, il loro fratellino e la loro zia sono morti avvelenati anni prima, e nel villaggio è opinione certa che la responsabile sia Costance. 
La poveretta quindi è terrorizzata dagli esseri umani, non si mostra a nessuno, rifugge ogni contatto. Anche perche', ogni volta che ce n'e' uno, per le sorelle ci sono solo problemi e costanti attenzioni indesiderate.

La lettura e' rapidissima. Sia per le poche pagine, non si arriva alle 200, sia per lo stile con cui e' narrata la storia. A parlare e' Merricat, che usa un linguaggio davvero basico che vi permette di poter leggere il romanzo in lingua anche se non avete troppa dimestichezza con l'inglese. Se pero' da un lato abbiamo una gran fluidita' lessicale, i contenuti sono strato dopo strato piu' intensi.
Niente e' come sembra, qui. Nemmeno l'eta' delle sorelle, primo grande sconvolgimento che ci regala la Jackson.
Certo, non aspettatevi epiche scene d'azione o magistrali colpi di scena. E' tutto molto lineare e semplice, sussurrato, come ha avuto modo di sottolineare King.
Eppure, ti sbraita dentro.
L'orrore, la solitudine, la crudelta', non sono mai violentemente palesati, ma sono ben presenti in ogni pagina.
Ma alle sorelle va bene.
Loro sono felici cosi'.


sabato 20 dicembre 2014

Non solo cinema: La strada

10:04
Post con spoiler perché non ne facevo da un po'


Per il mio compleanno, R e un gruppo di pazze persone che immagino mi vogliano molto bene mi hanno regalato un ebook reader. Io leggo da che ho memoria, e so da fonti certe che quando ancora non potevo leggere per ovvia incapacità avevo persone che leggevano per me. Non sono certo una feticista della carta, però, benchè sia una di quelle strambe creature che annusano i libri. Desideravo un lettore da tempi immemori e ora il mio piccolino è il mio migliore amico e il principale compagno di merende.

Questa intro che avrà sicuramente rivoluzionato la vostra giornata serve a dirvi che grazie al mio trekstor riesco a leggere molto più di prima. Più libri = più libri horror.
E quindi eccoci qui, con un nuovo ingresso nel blog che non vuole diventare una rubrica fissa con cadenza regolare (come se poi io ne facessi), ma un modo in più per condividere con voi quello che mi piace.
Ma sempre di horror parliamo, perchè sono una persona molto originale.

Ho voluto iniziare con McCarthy perchè penso sia il modo migliore per ricordare a chi ha problemi di memoria o di comprensione dell'ovvio che l'horror non è solo sangue squartamenti fantasmi mostri killer orrore e sconvolgimento.
L'horror può penetrare più a fondo, può gettarti nello sconforto, nella perdita completa della speranza, nella desolazione di una condizione che non ha soluzione.
Vah che poetessa.

Può essere horror la storia di un padre ed un figlio, che vagano per la strada senza vita di un mondo distrutto. Non sappiamo cosa sia successo, cosa abbia ridotto il pianeta ad uno scheletro di se stesso, ma non è rimasto niente della società come la conosciamo.
Padre e bambino non hanno più una casa, non godono più della compagnia della mamma ma nemmeno di quella di nessun altro essere umano. Camminano in mezzo al gelo, senza una meta reale, senza un luogo sicuro, costretti ad accendersi il fuoco ogni sera per non morire assiderati, alla ricerca di cibo nei modi che possano.
Privati di tutto, non hanno nemmeno un nome.

E tanto è gelida l'aria che padre e figlio repirano, tanto è fredda la scrittura di McCarthy, che è ridotta all'osso e minimale.
Cerca ogni tanto di scaldarci cuore e pensieri con qualche momento di tenerezza padre e figlio, ma sono solo attimi sporadici che portano una consolazione momentanea.
Perché a questa condizione non esistono consolazioni, perchè non ci sarà un rimedio.

Ed è, questa, una consapevolezza che ti colpisce duramente a fine libro.
Ti affezioni a questi due signori, a questi due vagabondi per necessità, e quello che vorresti non è altro che vederli insieme ad altre persone, in un luogo caldo e sicuro, perchè quel freddo che ti è narrato cominci a sentirlo anche tu, che ti prende nelle ossa. Vorresti vederli tornare a fidarsi del prossimo, vorresti che fossero in tanti i 'buoni che portano il fuoco'.
Ma quando concludi la lettura capisci che la speranza lì non sta di casa. E ti atterrisce.

Perché è un inserimento graduale nelle loro vite quello che mi ha malridotta di più.
Nelle prime pagine nemmeno mi piaceva, sto La strada. Andando avanti, però, ti ritrovi a vedere con i tuoi occhi che proprio la strada è l'unica cosa che hanno, oltre l'un l'altro. E non esiste situazione più disperata di quella di una persona che deve vedere il proprio mondo scomparire. L'autore ci fa capire chiaramente quanto l'unico ad avere subito una gigantesca perdita sia il padre. Il bambino in questo rimasuglio di mondo ci è nato. E' la sua normalità.
Il padre aveva tutto e ora ha solo il suo bambino.

Ripenso quindi a tutte le volte che sono triste, o che semplicemente ho una giornata no.
Ascolto le mie canzoni preferite, scrivo sul blog, esco a comprarmi la mia focaccia preferita, faccio due passi fino alla piazza del paese e scorro le vetrine.
Non sono cose che fanno passare la ragione della mia tristezza nè rimediano alla mia giornata di merda, ma mi rimettono nel giusto ordine di cose, mi riportano con i piedi per terra, mi calmano. Sono piccole azioni apparentemente inutili ma di cui ho bisogno quando qualcosa non va.
E se nella mia vita improvvisamente qualcosa non andasse e io non avessi nemmeno una delle mie piccole coccole per stare meglio? E' un circolo vizioso di dolore, una sofferenza in tondo che non può avere fine.

E nonostante tutto, nonostante le volte in cui ha pensato che sua moglie avesse fatto la scelta migliore, il papà parla ancora a suo figlio del volo degli uccelli.
Una lezione di speranza che voglio fare mia, e regalare a voi.

Buon Natale a tutti!

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