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martedì 22 novembre 2016

Dogtooth

16:03
Tempo fa Netflix mi aveva costretta a guardare Miss Violence. Voi siate più forti di me e opponetevi, a meno che non soffriate di grave masochismo.
Nei commenti a quel post Silvia (che trovate qui) mi aveva detto di guardare Dogtooth, quando fossi stata pronta. Mi sono presa tempo perché Miss Violence ha lasciato lividi sparsi per il corpo. Non che oggi mi possa definire guarita, ma se non altro ho la visione meno fresca, quindi sono pronta a farmi prendere a padellate sui denti dal Cinema.

Una famiglia greca conduce un'esistenza in completo isolamento: madre, due figlie e il fratello vivono in una splendida villa, con un enorme giardino, senza mai poter uscire. Il padre, creatore di questo perverso mondo, esce solo per lavoro, e quando ritorna architetta bizzarri modi per sedare nei figli il desiderio di libertà. Li ha cresciuti privandoli di qualsiasi conoscenza del mondo, della realtà, dell'arte. Non esistono televisori, radio, film, romanzi. La poca musica di cui si fruisce viene spacciata come una produzione familiare, e i video riprodotti sono filmati domestici. Gli aereoplani sono giocattoli che ogni tanto cadono in cortile, le autostrade venti forti. In un clima costruito così ad arte, la minima variazione rischia di far crollare l'intero sistema, e quando Christina, la ragazza pagata dal padre per intrattenere sessualmente il figlio maschio, porta un po' di mondo reale in casa le conseguenze saranno notevoli.


Verrebbe facile immaginare una situazione simile in un clima di profondo disagio: precarietà economica e intellettuale, per esempio. Mi sarei immaginata una casa sporca, piccola, figli con deformità e genitori luridi. Invece no, la più perversa delle storie che ho visto di recente è ambientata in una lussuosa villa con piscina, in cui tutto è bianco e splendente, in cui i figli sono tre bellissimi ragazzi, in cui i genitori starebbero bene con un lavoro tutto formalità e sorrisi. L'effetto è impressionante. A proposito del volto dei genitori, poi, mi viene da condividere prima di parlare del film in sè. Quanto cambia il volto delle persone quando sappiamo qualcosa di loro? Nelle prime scene il padre sembrava un ragioniere. Un classico uomo mediterraneo, senza infamia nè lode, non certo un uomo con cui avrei paura a trovarmi nel classico visolo buio, per intenderci. Inquadrata la questione, identificato un po' l'orrore che quest uomo stava compiendo, il suo volto ha iniziato a causarmi repulsione. È stato un effetto bizzarro, voglio capire quanto mi capita anche con le persone reali.

Il film è impressionante. Non una sola goccia di sangue viene versata fino alla fine, e anche quelle che ci sono colpiscono duro più per quello che significano che per lo spargimento in sè. Tutto è chiaro, pulito, fila liscio come l'olio e calmo come le spiaggie d'inverno. Eppure, in questa calma apparente, è tutto terrificante. Giovani adulti con il linguaggio degli infanti, che vengono chiamati bambini dai genitori, che non hanno idea di quello che sia il mondo fuori dalle pareti di casa. Quello che è più tremendo per me è questo: non solo i tre fratelli non conoscono il mondo, ma nemmeno ne possono sentire la mancanza, perché non hanno idea di cosa sia. La loro normalità è la casa, la loro quotidianità è fatta solo dei volti familiari, dei giochi consueti.
Questi tre fratelli, poi, fanno spavento. Non hanno nome, e spesso nemmeno volto, perché ci sono un numero impressionante di scene in cui vengono riprese solo le gambe, tranciando di netto la testa e con essa il suo contenuto, in particolare per quanto riguarda le sorelle.



La figura del padre, sconquassante e orrenda, però, è niente in confronto a quella di Christina. Per qualche motivo è stata lei a colpirmi di più. Non per il fatto di vendere il suo corpo, cosa di cui mi importa poco, ma per quello che succede in casa. Non è nemmeno stato il fatto che si sia prestata ad una cosa così malata a infastidirmi, dio solo sa cosa sono disposte a fare certe persone per soldi. Ma infilarti a tua volta nel meccanismo di controllo e sfruttamento di chi non ha la possibilità di rendersi conto di cosa gli sta accadendo è folle e crudele.
Mi rendo conto che questa frase sia contorta per chi non abbia visto il film, ma a volte esprimere un concetto senza fare spoiler è complesso. Per farla semplice: avrebbe potuto limitarsi ad entrare in casa, fare sesso con il giovane, prendersi i soldi e tornare indietro. Non denunciare, tacere, accettare la realtà di quella famiglia per non perdere l'introito e finirla lì. Invece no, coglie la fragilità delle sorelle, della grande in particolare, e se approfitta a sua volta. Ma allora sei fetente.
Che poi immagino che nel mondo reale quello di Christina sia il personaggio più reale, perché in fondo si tratta di una che sfrutta le debolezze altrui e non so come mai ma la cosa non mi suona fantascientifica. Vederlo così, però, così subdolo e allo stesso tempo patinato, è stato un colpo basso.

Non scenderò a facili confronti con Miss Violence. Mi sento solo di dire questo: la ferita stavolta non è stata meno forte. È stata meno sporca, forse, ma Dogtooth si è aperto un varco nel cervello con la forza di un trapano, e mi ha lasciata inorridita e impotente.
Altri cinque o sei anni di terapia garantiti.

Quando siete in coda dalla psichiatra, però, e volete rinfrescarvi la memoria sul perché siete lì, qui il dvd del film:

Dogtooth [Blu-ray] [Edizione: Regno Unito]

sabato 19 novembre 2016

ABCs of Death 2

13:52
Sabato mattina, ferie.
Film.
Requisiti richiesti: poco impegno. 
Passa la selezione ABCs of Death 2.
Secondo cortometraggio, C is for Capital Punishment. 
Poco impegno, eh?


Ma facciamo un passo indietro (e se l'avete letto con la voce di Pif va tutto bene, sto riguardando Il Testimone e acquisisco modi di dire). 
Nel 2012 esce The ABCs of Death, un progetto interessantissimo: un unico film composto di ventisei cortometraggi, uno per ogni lettera dell'alfabeto, girati da ventisei registi diversi, per sviscerare il tema della morte. Era sicuramente un prodotto riuscito, da vedersi solo però in totale assenza di emicranie: qua ogni 4 minuti c'è da resettare il cervello e ricominciare da capo, ignari di cosa ci aspetta perché il titolo, giustamente, ve lo spiattellano alla fine del corto, quando ormai siete presumibilmente colpiti.

Il sequel è del 2014, e si apre con un paio di corti leggerini, un po' ironici, un po' grotteschi. Tu quindi ti accomodi, ti rilassi un po'. Poi arriva la lettera C, C is for Capital Punishment.
Presente la prima puntata della prima stagione di Black Mirror? Se l'avete vista ve la ricordate sicuro come l'oro. Ecco, è così, ma peggio.
Poi loro ci provano a tirarti su un po' il morale con E is for Equilibrium, un po' stralunato e un po' cazzone, ma poi arriva F is for Falling, con il quale ci viene ricordato che al mondo non esistono gioie durature. Manco il sollievo di un cortometraggio scemo dura a sufficienza.
Dopo un po' di sofferenza reale, allora, perché non ributtare lì qualche cosa bruttina per distrarre l'utenza? E quindi via con G is for Grandad, H is for Head Games e I is for Invincible. Non me ne è piaciuto manco uno, neanche a chiederglielo per cortesia. Il nonno è stato ripugnante, l'animazione non mi è piaciuta per niente e i figli che vogliono l'eredità mi hanno fatto ridere ma non nel senso in cui avrebbero voluto.
E poi, di nuovo, a interrompere il fluire di corti ben poco appassionanti, ecco arrivare J is for Jesus, dove un giovane uomo omosessuale viene rapito sotto ordine del padre da una coppia di bigotti religiosi che cercano di liberarlo dalla sua deviazione con un esorcismo. È dolce ma forte: l'amore è la sola legge, quella di dio se cortesemente vuole farsi da parte la porta è in fondo a destra, tante care cose.
E via di nuovo con altri corti poco stimolanti, alle lettere K, L, M, N. 
Alla O, O is for Ochlocracy, arrivano i nipponici amici a ricordarci che possiamo anche prendere le regole e sdoganarle un po'. In questo caso è toccato agli zombie che in seguito ad un apocalisse diventano la specie dominante e che devono fare giustizia, condannando a morte tutti quegli umani che hanno ucciso i ritornanti.
Q is for Questionnaire è una robina prevedibile e di poco conto, ma occhio agli stomaci sensibili perché da quel punto di vista non è male.
Le lettere P e R le possiamo lasciare stare perché non mi hanno colpito per niente, e se alla T troviamo il trash con buone intenzioni ma tremendi risultati (T is for Torture Porn), è la S la vera rivelazione. S is for Split vede un marito assistere per telefono ad un'aggressione alla moglie. Bellissimo, crudele e con finale interessante, e ormai sappiamo che a me per essere felice basta che sia fatto bene il finale.
Dopo un anonimo U is for Utopia, ecco l'episodio che mi ha fatto salire il sangue alla testa: V is for Vacation. Trama: moroso in vacanza con un amico che ha la faccia da genitale. Videochiama morosa ingenuamente rimasta a casa. Moroso rilassato, tranquilla amore che non abbiamo fatto niente, due birre e basta. Amico faccia di pene ruba il telefono a moroso per dimostrare a morosa ingenua che non è andata proprio così. Ci ho provato a capire come possa una sinapsi avergli fatto credere che fosse una buona idea. Questo atteggiamento da sbruffoncello di sto grandissimo cavolo mi fa vedere rosso, mi ha fatto perdere la testa.
W is for Wish è l'episodio che tutti hanno amato appassionatamente, a me ha lasciato un po' indifferente. Dopo di lui, però, sono arrivati Mary e Bustillo, il che forse in quanto a fattore dimenticabilità non ha giocato a suo favore. Avevano la lettera più tremenda dell'alfabeto, la X. Ne hanno tirato fuori X is for Xylophone. Ce lo dovevamo aspettare, perché loro sono quelli di quell' A l'interieur che non credo riguarderò presto: abbiamo solo qualche minuto? Tranquilli, ci basta.
Porcoggiuda se gli basta.
Y is for Youth vede un'adolescente fantasticare sulla morte dei terrificanti genitori, e nessuno si sente di biasimarla.
Si conclude la carrellata con un pugno nello stomaco: Z is for Zygote. Impressionante sia visivamente che psicologicamente, mi è sembrata una conclusione perfetta.

Quando ho visto il primo film tanti fattori hanno giocato in suo favore: la novità, l'originalità del progetto, la voglia dei registi di shockare e non passare inosservati in mezzo al numero di corti 'concorrenti'.
Questa volta, abituata al format, mi sono più concentrata sulla qualità dei singoli corti. Troppi, troppi che non mi sono piaciuti. Anzi, è peggio di così: mi hanno lasciata del tutto indifferente.
Quindi: se l'avete visto ne parliamo insieme volentieri, se non l'avete fatto la mia proposta è di cercarvi i singoli corti che ne valgono la pena, perché alcuni sono praticamente indimenticabili.

Certo, il mio poco impegno è andato a verze.
Buone ferie anche a voi.

E se siete collezionisti e volete comprarvi i film, qua il link:

I due film insieme per non farsi mancare niente


lunedì 7 novembre 2016

Non solo horror: In guerra per amore

10:05
Questo post non era previsto.
Ogni tanto però compaiono quei film che sono un inaspettato colpo di fulmine, e allora si butta giù qualcosa di getto sperando che 1) il tutto abbia un senso e 2) qualcuno in più magari leggendo qui si convinca ad andare in sala a dare a Pif i guadagni che merita.

In guerra per amore è la storia di uno squinternato e maldestro cameriere, che lavora a New York al servizio di una famiglia mafiosa. Ha la sventura di innamorarsi della nipote del suo capo, Flora, promessa già a Carmelo, rampollo della criminalità organizzata. Per poterla prendere in sposa ha bisogno del permesso del padre, che vive in Sicilia.
Ah, sì, siamo nel 1943.


Prima osservazione: io e R abbassavamo l'età media in sala di una buona decina d'anni.
Perché?
Io credevo, anima innocente, che Pif ai giovani piacesse. Il Testimone è quasi l'unica trasmissione televisiva che amo guardare, Le Iene sono popolarissime, le buffe pubblicità della TIM passano anche prima dei video su Youtube, dov'è il problema? Eppure in sala quasi solo persone di mezza età. Fortunatamente qualcuno aveva portato i figli, e a quei bambini avrei voluto mettere una mano sulla spalla per dichiarare solennemente la loro fortuna.
Ostilità dichiarata per quei genitori che portano i bambini a vedere solo animazione perché sì, senza notare quanto un film del genere sia arricchente. (E se arricchente non è ancora un termine della lingua italiana allora ce lo mettiamo noi.)
Si esce dalla sala più ricchi non solo di conoscenze, ma di buoni sentimenti (BUONI, non buonisti), di attenzione, di consapevolezza. Perché con il consueto tono favolistico con cui Diliberto ci ha raccontato il mondo fin da quando telecamerina a spalla girava a fare Il Testimone, questa volta ci ha accompagnato in guerra, e ci ha fatto vedere che se vogliamo spazzare via lo sporco dobbiamo macchiarci anche noi, e spesso non sappiamo quanto ci vorrà a far venire le macchie. Per conquistare anche i bambini, che per loro fortuna credono ancora che la sigla DC in Italia riguardi solo i fumetti, ci sono colori sgargianti, la bellezza straordinaria della Sicilia, musica carinissima e un tono leggero e onestamente molto divertente.


Avevo visto solo il trailer del film, avevo come mio solito evitato articoli e recensioni per arrivare neutra in sala, quindi non avevo idea di che taglio avrebbe preso il film nella seconda parte. Perché sì, In guerra per amore è una storia d'amore, ma parla di tanti amori diversi. La propria donna, la patria, la terra d'origine, la pace, l'amico, il figlio, il collega. Ma anche amore per il denaro e, soprattutto, per il potere. Commuove sinceramente senza ricercarlo, con la naturalezza di chi questo buon cuore ce l'ha davvero e non deve affatto sforzarsi di tirarlo fuori. È dolce ma mai stucchevole, o col cavolo che sarei qua a parlarne, è delicato e preziosissimo, si fa voler bene dalla prima scena.
Poi arriva la fine, con un carico di amarezza sul groppone. Quando io e la mia amica Elena parliamo di Harry Potter, cioè un giorno sì e l'altro anche, finiamo sempre a dirci che quello che funziona del settimo volume e quindi della conclusione della saga, è l'estremo realismo con cui la guerra è trattata. La guerra fa parte dell'umanità, ma fa schifo, e il prezzo da pagare per giungerne ad una conclusione è sempre altissimo. Ad Hogwarts si parlava di vite spezzate, qua si parla di altro, ma il punto è sempre quello: anche se l'obiettivo è parlare di una storia che finisce bene non bisogna mai trascurare il fatto che si sia parlato di guerra, e che non finisce MAI bene per davvero. Pif lo sa, è nato a Palermo.


Andate IN SALA a vedere questo film, dategliela questa decina di euro a Pierfrancesco Diliberto e a tutte le persone che con lui hanno collaborato per creare un piccolo gioiello di cinema italiano. Lui vedrà riconosciuti i suoi meriti, e dio solo sa quanto c'è bisogno che un talento venga apprezzato soprattutto da noi, e voi, oltre ad un bel ripassino di storia del nostro paese (e NE ABBIAMO TUTTI BISOGNO), ne riceverete tanta bellezza in cambio.

martedì 18 ottobre 2016

Un lupo mannaro americano a Londra

12:07
Ah, i film iconici.
Tutti li hanno visti, tutti sanno di cosa si tratti, tutti li amano.
Io me la faccio sotto perché generalmente le cose cariche di aspettative mi mettono soggezione. Il mio percorso nel mondo dei film non è per niente lineare, guardo cose senza alcuna logica, nè seguendo il filone del 'questo è storico e va visto per forza', tanto è vero che centinaia di film cult non li ho mai visti e li guardo se e quando mi viene voglia.
Qualche giorno fa me ne è venuta voglia.
Come al solito, poi, mi è venuta voglia di parlarne e di conseguenza ho iniziato a farmela sotto ché parlare di cose Grandi e Importanti sul web spaventa sempre un po'.

Per chi, come me, è caduto ora sulla Terra, ecco chi è il lupo mannaro americano a Londra: è un giovane, capitato nella brughiera inglese per una vacanza con un amico, che ha uno sfortunato incontro con un licantropo. La sfortuna non è tanto quella di averlo incontrato, quanto piuttosto il fatto di essere sopravvissuto all'attacco.


Non ho mai subito in modo particolare il fascino degli uomini lupo, ma c'è un aspetto che li rende sempre molto interessanti: la colpa. I licantropi sono spesso torturati dal proprio 'dono', il senso di colpa è devastante, come se peraltro loro avessero davvero una qualche responsabilità.
Remus Lupin, da sempre uno dei miei personaggi preferiti dell'universo Harry Potter, ha rischiato di perdere l'amore della sua vita, perchè si ostinava a impedire la nascita di una relazione con l'adorata (anche da me) Ninfadora, a causa della sua natura. Come se tentativi di protezione dell'amata servissero a qualcosa. Se ormai ti amo sono già fregata, bello, ti conviene rassegnarti.
(Sì, la maggior parte dei miei riferimenti sono sempre ad Harry Potter. Confido che ci siate abituati.)
E così il povero David, come se tutta la vicenda fosse stata per lui una passeggiata, si ritrova in uno squallido cinema a luci rosse, circondato dalle anime di chi aveva perso la vita per mano sua. Tremendo. Non stupisce che poi si lanci a Piccadilly Circus disperato, cercando di porre rimedio all'irrimediabile.

Onestamente, non credevo che il film di Landis mi sarebbe piaciuto, un po' per disinteresse generale verso il tema, un po' perché non mi aveva mai ispirato particolarmente. È stato piacevole, per l'ennesima volta, essere smentita. Il film è di una leggerezza completamente inaspettata, per me che non ne avevo mai nemmeno letto un post a riguardo, o un articolo, e riesce con una grazia piacevolissima a passare da momenti davvero divertenti (senza pai passare per quel passaggio sgradevole in cui percepisci che si stanno tutti sforzando un casino di farti ridere) a momenti di reale sgomento. So che tutti amano la scena della metropolitana (adesso i post a riguardo li ho letti), ma a me sono state le visioni in ospedale a colpire di più, insieme alle varie comparsate del compianto Jack, di volta in volta più malmesso. Vedere l'amico perduto, con le sue nefaste profezie, non è stato proprio esattamente piacevole.


Come al solito, il cinema mi insegna che mettere da parte il mio snobismo non può che essere una buona idea. Aprire la mente all'inaspettato riesce ad essere una sorpresa continua. Non dico che da oggi il lupo mannaro americano sarà uno dei preferiti, non è così nonostante ne riconosca l'indubbia importanza, ma la simpatia che mi ha fatto è stata piacevolissima.


NB per il mio amicone Alessandro: Doc, sono QUESTI i lupi mannari che devi guardare! <3


mercoledì 7 settembre 2016

Lights Out

15:40
Io e la mia paura del buio vi diamo il benvenuto in questo nuovo post, in cui di buio si parla.
Prediligo che la mia fase di dormiveglia la sera sia accompagnata dalla luce della mia abat-jour, e tutta l'ostentata sicurezza che fingo alla luce del sole (ma non me la cavo male nemmeno sotto quelle artificiali) si sbriciola inesorabilmente quando l'oscurità prende il sopravvento.

Rebecca è una giovane donna, comunissima. La sua quotidianità viene interrotta da una telefonata che arriva dalla scuola del fratellino: il piccolo si addormenta continuamente in classe, c'è forse qualche problema a casa?
Oh, eccome.


Tra le altre cose il problema è che il film mi ha fatto pena e compassione e che sbatto istericamente i piedi per terra dalla rabbia.
Ve l'ho già detto che ho paura del buio? Benissimo. Con questa premessa il film, che parla di una cosa che attacca solo al buio, poteva farmi una paura maledetta, cose da farmi cucire sottopelle la abat-jour per non farmi mai restare senza.
Ma il mondo in cui escono tanti film belli al cinema non è forse un mondo utopico? Il karma non ci aveva già benedetti con It follows, The Babadook E ANCHE The VVitch al cinema nel giro di poche settimane? Con quale miserabile presunzione, noi, già premiati da una simile inconsueta generosità ci siamo permessi di chiedere che l'ennesimo filmetto estivo fosse non dico splendido ma almeno decente?
Eppure non mi sembrava fossimo viziati, tutt'altro.

Il problema di Lights Out è questo: non fa paura.
E quel lieve vociferare di protesta che sento crescere in questo momento lo placo subito dicendovi che pare quasi non ci provi neanche. Come se il solo fatto di parlare (in qualche modo indiretto) del buio rendesse l'accensione del fattore spavento così automatica da non dovercisi impegnare neanche un po'. Una noia sconvolgente. Ogni tanto avrei chiesto un jumpscare in più, pur non essendone fan, sperando in un risveglio dal torpore.
Quella Diana, lì, aveva buone chances di spaventarmi. Il suo aspetto mi ha ricordato quella Madre di Muschietti che se ci ripenso mi sale la voglia di rifugiarmi in una chiesa dalla paura che mi faceva, solo che questa funziona molto meno, forse perché il suo ruolo è molto meno simbolico e pieno di fascino. Se quella là era una creatura materna, sconvolgente nel suo morboso attaccamento alle bambine e terrificante per movenze e aspetto, questa qua boh, avrebbe potuto essere qualsiasi cosa ma io avrei continuato a guardarla con un insofferente broncio, perché non stavo provando proprio niente. Peraltro, la scrittura del film sfiora insistentemente il ridicolo: Diana non può stare alla luce per problema dermatologico, perfetto, ci sta. Ma il collegamento tra pelle malata e poteri paranormali sta forse in qualche manuale di patologia poco noto ai più? Non voglio lo spiegone, voglio un minimo di senso, di coerenza, di completezza.


Quello che è più frustrante è che il cortometraggio mi aveva fatto una paura maledetta, con quell'interruttore premuto in continuazione. E quel finale.....


martedì 12 luglio 2016

The Invitation

13:07
Ah, quando vi mettete in massa a parlare di una cosa io non resisto: devo venirvi dietro.
The Invitation è solo l'ultima di una serie di fisse che hanno investito i miei adorati colleghi blogger e, come al solito, non per niente.

L'invito in questione è quello che Eden invia agli amici di un tempo. Una cena, una reunion, a cui sono invitati anche l'ex marito, Will, e la sua nuova compagna. Sembrerebbe una bella cosa, io alle cene con i miei amici mi diverto assai, e invece. . .


E invece niente, non succede niente. 
Mettetevi comodi, perché se aspettate dei fatti ne troverete ben pochi.
The Invitation è un film di lunghezza standard, si supera di poco l'ora e mezza, per la maggior parte della quale non si vede un mezzo episodio che sia uno.
Eppure.

Will arriva, saluta gli amici, ci sono baci, abbracci, nostalgia, il fantasma di un evento tragico che aleggia su di loro senza quasi mai uscire del tutto. Una chiacchierata seduti insieme, un bicchiere di vino, qualche gioco per scaldare l'atmosfera.
Ma l'atmosfera è già calda, caldissima, e noi ce ne accorgiamo da subito.
Lo sguardo sospettoso di Will è chiaro fin dal primo istante. Qualcosa non è come se lo ricordava, o come se lo aspettava. Già la prima discesa di Edie dalle scale ci puzza un pochino. 
Le nostre sensazioni si bloccano lì, però. Qualcosa puzza. Finisce male. Ahiahiahi.
Però i minuti scorrono e non succede niente. Allora, o siamo pazzi noi e Will oppure qualcosa arriva.

Arriva, tranquilli.
Ma quasi quasi il punto non è quello, sebbene gli ultimissimi secondi di film siano incredibili. Quello che succede prima è intuibile, ma quell'istante finale. . .
Ohi ohi ohi.
Il punto, in realtà, è come ci siamo condotti, a quel finale. E ci siamo condotti benissimo, in punta di piedi, circondati di persone interessanti e credibilissime (il paradiso del politically correct, ci sono tutti: bianchi, neri, asiatici e omosessuali, non si fa torto a nessuno). Will è un uomo torturato, ogni respiro è per lui sofferenza, e ce lo mostra benissimo, perché ha uno sguardo di un'intensità rara. I suoi amici sono meno 'approfonditi', ma tutti reali nella loro semplicità.
Talmente reali che, quando Will comincia a palesare le sue perplessità, lo prendono un po' per scemo e le sottovalutano. Che poi hanno anche ragione. Io sabato ho cenato con i miei amichetty di una vita, se mi fossi alzata a dire che secondo me c'era qualcosa di bizzarro se non altro mi avrebbero preso a cuscinate.


Insomma, un'ora e mezza che campa di dubbi, disagio e staticità.
Mi rendo conto che messa giù così non faccia proprio venire un voglione di vedere The Invitation, ma io fossi in voi lo guarderei anche se la lentezza non vi dovesse piacere. Prima di tutto tratta del più straziante dei lutti con un'eleganza e una delicatezza che sono proprio adeguate.
E poi vi garantisco che i brividi della scena finalissima si fanno aspettare ma ne vale la pena.
Eccome se ne vale la pena.

lunedì 4 luglio 2016

Krampus

10:27
Ho avuto due importanti giornate di merda. Di quelle in cui se ti tagliano non sanguini.
Avevo bisogno di Cinema, di quello che diventa terapia e che ti riappacifica col mondo. Quello che ti calma per un po' e illude chi ti circonda del fatto che tu non sia proprio la bestia che sei in realtà. Qualcosa che fosse dolce, e un po' amaro, e un po' nostalgico, e un po' triste, e un po' tenero. E che fosse anche un po' cattivo.
E quindi, Krampus.


Avevo beatamente ignorato il trailer per il motivo che segue: non sopporto il Natale.  Scusatemi.
Non che sia un Grinch che insulta e risponde inacidito a chi invece le feste natalizie le ama, semplicemente nell'intimità della mia cameretta non riesco a sentirne alcuno spirito. E quindi, lo ignoro. Tranquilli, il Natale non se la prende e per tutta risposta ignora me.
Krampus è la storia di un bambino che, con ottime motivazioni, perde la fiducia nel Natale. Lui, che era sempre stato così affezionato alle feste e alla figura di Babbo Natale, ad un certo punto è messo alla prova, e perde il suo spirito. Le conseguenze le paga tutta la famiglia.
Una specie di Bran Stark, però meno stupido.
La tensione è palpabile dal primo momento, e non certo per colpa del Krampus: la recita scolastica è stata irrimediabilmente rovinata proprio per mano del giovane Max, mamma e papà aspettano con ben poco entusiasmo i parenti, chiassosi, repubblicani ed insopportabili, la sorella di Max è innamorata, ha altro per la testa, e questo altro niente ha a che vedere con vischio e presepe. L'unico supporto sembra arrivare dalla silenziosa e paziente nonna.
(Ho un debole per gli anziani, vi prego di perdonarmi se questo post avrà spesso parole d'amore per la nonna)
Lo spirito del Natale lì è bello che andato, la cena viene organizzata tanto perché le belle tradizioni americane borghesi vogliono l'arrosto di prosciutto e l'albero alto fino al soffitto. Prima o poi questa tensione doveva esplodere: ad uccidere la finta pacatezza di circostanza ci pensano le cugine, che credono sia divertente umiliare pubblicamente Max, leggendo a voce alta la sua lettera a Babbo Natale.
Sarà lui a umiliarle, dimostrando che la sua (supposta) ingenuità altro non è che bontà reale, di quelle che si incontrano una volta nella vita o due. Questo comunque non gli impedirà di cercare di prendere a botte queste cugine che pesano tre volte lui.
Le botte sono il meno: eventi bizzarri e personaggi inquietanti arrivano a dimostrare alla felice famigliola che il Natale è ben altro.
E per quanto io abbia trovato bellissimo il Krampus e adorabile la storia della nonna bambina, non sono stati loro il punto.
Improvvisamente tutti si riscoprono uniti.
Il desiderio di serenità (natalizia e non) di Max era stato palesato, suo malgrado, quello che invece stava silente dentro ognuno degli altri si stava manifestando nei modi più diversi: vecchie decorazioni conservate insieme ai ricordi che si trascinano dietro, cioccolate calde preparate nel rassicurante silenzio di chi si prende cura degli altri senza farne un vanto, inaspettato sostegno tra sorelle, il sacrificio per salvare gli amati, un'invadente zia antinfanzia che per tutto il film si coccola la bimba piccina.
Il fatto che io non vada cercando questo spirito di cui sono mancante non significa che non auguro a chi invece lo desidera di trovarlo.
Non vi dico se i sogni di Max si avverano, vi dico solo che arrivare a scoprirlo è bellissimo.

lunedì 27 giugno 2016

The Conjuring - Il caso Enfield

14:38
Due settimane fa ero in sala, lo schermo stava per proiettare The Neon Demon. Partono i trailer, che io malsopporto ma che il cinema mi propina forzatamente ogni volta. Parte quello di The Conjuring - Il caso Endfield. Mi convince, guardo Riccardo con sguardo sognante, ricevo come risposta un netto 'No.'
(Riccardo, lo dico per i lettori occasionali, è la povera anima che sopporta la mia ben poco gradevole compagnia. Tenetelo a mente, perché è molto presente sul blog e sarà il protagonista di questo post che prevedo di una lunghezza sconsiderata.)
Riassunto per gli impazienti: mi è piaciuto tanto e mi ha fatto paura.
Avrei solo preferito vederlo senza essermi coccata il trailer prima.

Siccome la femmina della coppia sono io, ecco quello che è successo:
al cinema ci siamo andati
colma di misericordia, ho acconsentito a far venire con noi il nostro amico scemo, affinchè Riccardo avesse un'ulteriore manina da stringere qualora la tensione si fosse fatta insostenibile, il che è avvenuto abbastanza alla svelta. Tutto si può dire di Wan, ma lento proprio non è.
Per raccontarvi cosa altro è successo ieri sera, devo sottoporvi a qualche spoiler ma niente di che.

Il caso Enfield che dà il (sotto)titolo al film è quello della famiglia Hodgson. È una vicenda piuttosto nota a chi, come chi scrive, bazzica per storie paranormali che si spacciano per vere. Se anche solo una volta avete cercato faccende simili su Google siete sicuramente incappati nella storia di questa madre divorziata, con quattro figli a carico, una situazione di ristrettezze economiche e fenomeni bizzarri ad infestarle la già malconcia casa. Sicuramente avete visto questa foto da qualche parte:


La trama del film, insomma, è questa. Madre sola, figli piccoli in età scolare, entità che si palesa a disturbare la loro (mancata) quiete. In particolare ad essere presa di mira è Janet, la minore delle figlie femmine, 11 anni. Per capire cosa succede e valutare se sia il caso di richiedere l'intervento della Chiesa Cattolica, intervengono gli amatissimi e bellibelliinmodoassurdo Warren, i soliti Ed e Lorraine a cui vogliamo così bene. Se la Farmiga e Wilson dovessero mai figliare, cosa che spero perché qui è partita una ship di quelle importanti, ne uscirebbe una creatura dalla chiara appartenenza angelica. Galeotta fu la scena in cui quel bell'uomo di Patrick Wilson, armato di chitarra e sguardo pieno d'amore, canta ai bambini la sola canzone di Elvis che mi sia mai piaciuta, I can't help falling in love with you.

Ciò detto, passiamo alla cosa che mi ha incuriosito di più durante la visione, oltre ovviamente al film: Riccardo, e il suo modo di guardare i filmacci brutti che fanno paura.
Facciamo una piccola presentazione del personaggio per i soliti lettori occasionali di cui sopra.
Lui guarda un buon numero di film, ha una certa esperienza, ma le sue preferenze vanno sempre sul fantasy e sulla fantascienza pura. Parliamo di uno che tutte le sere dice una preghiera a Gandalf e che non è ancora certo di avere superato la dipartita di Han Solo, eroe della sua infanzia. Gli horror gli fanno una discreta paura, ma questo non lo ha mai fermato dall'accompagnarmi (nonostante gli sia stato fatto notare che posso andare al cinema da sola e cavarmela, EHM).
Quando inizia a salire la tensione, lui ha un rituale che al confronto Nadal prima di battere pare non faccia niente. Intanto, parla. Ridacchia, cerca dettagli in scena (e lui ha un occhio per i dettagli insignificanti che non ho mai trovato in nessun altro), commenta le cose a voce alta. Ho quasi la sensazione che dire le cose a voce alta lo aiuti a riportarle nella loro dimensione di finzione. La cosa peggiore, però, è che inizia a farmi i grattini sul polso, sempre nello stesso identico punto, rischiando di mandarmi alla neuro.


Questo volendo ci potrebbe anche stare, diciamocelo. La paura è lecita se non sacra, e The Conjuring 2 la sua bella paurina la fa eccome. C'è qualche spaventino di quelli da saltello possente sulle poltrone, ma poca roba. Come era stato con il primo film della saga (la possiamo già definire così?) Wan ha trovato il punto di forza nel creare atmosfere incredibilmente funzionanti, e se la paura del saltellino passa subito, l'aria pesante resta dentro e anche quando finisci il film e vai a mangiare una gigantesca pizza di quelle alte una spanna ti senti il fiato sul collo. Il fiato di un vecchio.
La cosa di Riccardo che mi infastidisce/incuriosisce di più quando siamo al cinema, però, è la sua totale incapacità di sospensione dell'incredulità. (Tre volte al contrario allo specchio e il mio faccione spunterà a torturarvi nel sonno)
Non è capace di godersi un film per intero, così com'è. Lui deve mettere in dubbio, lui deve capire alla perfezione, lui cerca di 'risolvere il caso' prima che lo faccia il film, lui vuole LO SPIEGONE. E io, ogni singola volta, gli dico di rilassarsi, di godersi quello che viene, di lasciarsi trasportare. Ma lui niente. Ci provo a dirgli che il bello è proprio quello, è proprio sentire crescere la tensione, sapere che ti spaventerai (perché lo sai sempre), spaventarti comunque, e provare quel sollievo tipico che si percepisce quando finalmente il male ha un volto che non sarà mai brutto quanto quello che stavi immaginando.
Esempio, che secondo me vi fa capire ala perfezione di che tipo stiamo parlando: Janet è APPESA AL SOFFITO. Tenuta su dalla forza malefica che sta cercando di farsi largo dentro di lei. Viene improvvisamente risucchiata attraverso il soffitto, per ritrovarsi nella stanza al piano di sopra. Risucchiata, Attraverso. Il. Soffitto. Per entrare nella stanza ritenuta il centro delle attività paranormali. La scena non è impressionante a vedersi, ma sta 11enne stava appesa al benedetto soffitto! Ha attraversato la parete!
Sua reazione: 'Sì ma sta roba non è possibile!'
Trattengo il 'MA VAH?' a malapena. Questo si guarda i film in cui la gente combatte nello spazio con le spade laser (le spade laser) ma se in un horror in cui si parla di fantasmi e demoni una bambina passa attraverso le pareti a lui pare strano. E il 'tratto da una storia vera' non c'entra, eh. Non gli torna e basta.


Ora, perché parlare così a lungo delle sue reazioni al cinema? Perché sono reazioni comuni ad una fetta molto alta di popolazione. Immagino non sia un'esclusiva del multisala di Cremona, secondo me i giovani che fanno così li avete anche nel vostro cinema. Certo, poi magari non tutti vanno a vedere su Google le corrette classificazioni dei demoni, ma capite bene che se questo sta con me da quasi 5 anni bene bene non sta.
Ma forse è questo il punto di The Conjuring - Il caso Enfield. Ha tutte le potenzialità per piacere a chiunque, per intrattenere chiunque. Ognuno poi ne trae quello che più lo aggrada: se sei un'ingegnere psicopatico passi le due ore a cercare spiegazioni fisiche a fenomeni che proprio per loro natura non ne hanno, se magari sei un appassionato di orrore ti siedi e ti godi lo spettacolino che Wan ha preparato per te, se sei scemo come il nostro amico cerchi le immagini di gattini su Google per resistere. Sono due ore di giostra, che passano come se fossero il minuto convenzionale di Blue Tornado. Sta a te decidere se chiudere gli occhi e farti sballonzolare in giro dai binari o se studiare come la meccanica ti porti così in alto senza farti cadere.
Tanto fa paura comunque.

venerdì 29 aprile 2016

Lo squalo

20:11
Vi devo dire una cosa, però promettetemi che state calmi.
Spielberg mi sta un po' antipatico.
Sarà che lo conosco poco, sarà che sono troppo giovane per far parte di quella generazione che ha lasciato il cuore su E.T., sarà quello che volete, ma a me lui è sempre piaciuto poco.
E questo, lo comprendo, sarebbe un ottimo momento per far partire il defollow istantaneo.
Ma perché scappare proprio ora, quando io e S.S. ci stiamo conoscendo un po' meglio?

Il vero motivo per cui siamo qui riuniti oggi, a cercare di mettere una pietra sopra le mie passate ostilità verso SS, è uno solo: il GGG.
La mia ossessione per i libri è da attribuirsi a quattro signori, che hanno cullato la Mari bambina fino a renderla il mostro fissato con le parole che è adesso: J.K.Rowling, chiaramente, Bianca Pitzorno, Roberto Piumini e Roald Dahl.  L'ipotesi di un film sul Gigante Gentile mi scalda profondamente il cuore. Diretto da SS, si dice.
E allora eccomi qui, a cercare di fare pace con l'uomo che darà al mio omone un volto.
Inizio con gli squali, ché se vi dico che fino ai 25 anni non avevo mai visto il Signor Squalo mi mettete il muso.

SERVE UNO SPOILER ALERT? IO NON CREDO.


Ho sempre paura, quando guardo questi Grandi Film.
Che non mi piacciano, di non capire la loro influenza su chi è venuto dopo, di non sapere come parlarne. . .
In questo caso le mie paure erano elevate al cubo, perché non è che a me fregasse poi molto di vedere un film su uno squalo gigante che mangiava le persone. Mi dispiace, lo so. Ogni tanto vorrei essere una di quelle persone che amano i mostroni e si esaltano con l'azione, ma non è così, fatta eccezione per quei momenti in cui odio il mondo e lo voglio vedere finito almeno nella finzione. Sono solo momenti, però, di solito resto freddina.
L'ho visto per completezza, perché mi sembrava giusto guardare prima di giudicare, e blablabla.

Stavo in panciolle sul divano, convinta che dopo 10 minuti secchi mi sarei addormentata anche grazie alle 23 ore di lavoro in due giorni che avevo alle spalle. Non mi ero nemmeno preparata la merenda, cosa surreale, non si guardano i film senza mangiare.
Copertina, ché siamo quasi a maggio ma fa un freddo cane, cuscino, pc caldo sulle gambe. Mi davo giusto qualche minuto prima di soccombere.
Risultato: occhi incollati allo schermo.
La mia testa ha iniziato a scuotersi dall'alto verso il basso più o meno al minuto 18: squalone magna bambino. Io lì pronta sul bordo del divano, la mano sul bordo dello schermo del pc pronta a chiuderlo con sdegno: aspettavo la scena straziante della mamma urlante. E invece. E invece costumino che torna a riva, e bam, cambio scena.
Schiaffetto in faccia a farmi vedere chi comandava e io tornata cheta al mio posto.
Non sto ancora facendo plausi a SS, non fraintendetemi, ma quando il regista si esime dal lasciarsi andare a piccolezze dalla lacrima facile, io batto furiosamente le mani.
GRAZIE.

E questo rispetto per il lutto compare sempre, perché non è la sofferenza dei parenti delle vittime ad interessare, nè a SS nè a noi. Che ce ne frega, quelli sono affari loro, son cose private. Qua abbiamo una cittadina dal tenero nome che vede le persone morire una dopo l'altra ma che se ne fotte completamente (sentite che francese), perché se qua non lavoriamo moriamo tutti, oh.
Ehm.
Ci sono giusto due stramboidi che pensano ai morti, ma a cui nessuno crede, perché lo squalo è stato catturato, e credere che quello sia l'animale giusto non solo ci fa sentire a posto con la coscienza, ma ci permette anche di riaprire le spiagge, che è quello che a noi importa. Giusto giusto per il 4 luglio, festa dell'americano medio, a cui per l'appunto l'unica cosa che sembra importare è il guadagno.


Poi, chiaro, c'è lo squalo.
Mai nella vita avrei pensato che un film su uno squalo avrebbe potuto farmi paura. Vivo in Italia, gli squali giganteschi ammazzagente li sento come un pericolo troppo lontano da me per temere per la mia sopravvivenza e per quella dei miei cari. Qui, invece, è successa una cosa bizzarra. Ho tremato dalla tensione. È, mi permetto di fare un paragone di quelli rischiosi, il discorso della suspence hitchcockiana: sappiamo che sta per succedere qualcosa, lo sentiamo perché il film in qualche modo ce l'ha detto (e questa musica, ne Lo Squalo, funziona benissimo a dispetto della sua notorietà), ma i personaggi non ne hanno idea, il pericolo si avvicina e noi vorremmo gridarlo all'ignara vittima, ma ovviamente non possiamo, quindi quel qualcosa di brutto succede e noi ne usciamo stremati.
Due ore così.
Ho avuto l'impressione che SS abbia sempre saputo dove fermarsi: mostro il dolore della mamma che perde il figlio, ma non lo faccio ostentare, creo un falso allarme per stemperare un po', ma lo faccio solo una volta, poi sono volatili senza zucchero, vi schiaffo un po' di sangue ma senza piogge rosse.

Tregua, però, non ce n'è stata data fino alla fine: due ore di pianti e stridore di denti.

sabato 16 aprile 2016

The boy

11:10
Sto per copiare un post, vi avviso.
L'altro giorno su facebook ho trovato questa recensione. In poche parole, è un chilometrico post in cui si prende un libro (in questo specifico caso il primo lavoro della Troisi), e lo distrugge parola per parola. Argomentando in maniera esemplare, però, se no è troppo facile. Capito che scoperte rivoluzionarie faccio, io?
Quindi, visto che il signore del link di cui sopra mi ha aperto un universo, gli copio l'idea, tiè.

Da qualche tempo a questa parte non ho parlato di film brutti semplicemente perché è da un po' che non ne incontro. Se non uscivo convinta dal trailer molto semplicemente stavo alla larga dal film, ché a me la mentalità del 'lo vedo lo stesso per giudicare' non fa impazzire. Al massimo ho trovato cose mediocrine di cui non avrei avuto niente da dire se non 'meh', quindi mi pareva inutile scriverci un pezzo stiracchiato tanto per fare numero. Ricominciare a farlo dandogli un senso, però, mi sembra più intelligente piuttosto che tornare a fare dei post tipo 'prendiamo in giro questo film perché fa schifo!'. (E VOGLIO ricominciare a guardare anche i film brutti, perché mi voglio divertire pure io.)
Sempre scoperte rivoluzionarie? Mi ringrazierete dopo, dai.


Per fare per bene il mio lavoro, stavolta, mi sono informata.
Il film è diretto da William Brent Bell, la cui manina ha firmato anche La metamorfosi del male e L'altra faccia del diavolo. Film visti: 0/2, sono aggiornatissima. Quantomeno sono partita senza pregiudizi. Anche perché il movie database la sufficienza gliela dà, Rotten Tomatoes lo liquida con uno spietato 29%. Fine del mio livello di informazione.

Partiamo dalla stessa domanda da cui parte l'autore dell'articolo che vi ho linkato su: perché questa roba ha trovato una distribuzione? Peraltro, una buona distribuzione: nel mio multisala di fiducia. quello di cui mi lamento sempre ma in cui non smetto di andare, era presentato con un gigantesco cartonato tutto blu messo all'ingresso in modo che a nessuno sfuggisse che DEBOI, l'horror dell'anno, era in sala. Certo, la statistica era dalla sua parte. Se una cosa è brutta è più facile che qua da noi le venga data una possibilità.
Animo da madriterese del cinema? Buoni samaritani della pellicola? Vediamo il bello anche nelle situazioni tragiche?
Chi lo sa.
Sta di fatto che quando in giro si scoprono film più piccini ma intriganti e benfatti, qua non abbiamo chance di vederli in sala, e da questo punto in poi ci starebbe bene una riflessione sulla pirateria che vi risparmierò. E qui mando un bacio con la manina e la duckface a Honeymoon, Starry Eyes, Spring e It follows. 
Se fossi capace come l'autore originale a questo punto farei ipotesi sul motivo del successo di certi film poco impegnati e generalmente (con le dovutissime eccezioni) pessimi, ma mettendomi dalla parte dell'utenza media del cinema mi viene solo da pensare che siano film molto semplici.
Esci con gli amici, vuoi un filmettino che vi faccia un po' strizza (e in genere questi prodottini funzionano dal punto di vista dei sussultini sulla sedia), senza pensieri nè complicazioni, una cosina come DEBOI va benone. Fa cagare, ma va benone.
E quindi ne escono sempre di più, tanto qualche pirla ci va sempre, a vederli in sala.
Ma questi sono solo pensieri superficiali, non ho le competenze per andare troppo a fondo sulla questione. I soldi facili che questi prodotti portano potrebbero essere investiti in cose meno a favore di mercato, quindi chi sono io per chiedere ai signori produttori di smettere?
Ma, e queste non vogliono essere domande retoriche ma oneste riflessioni che mi viene da fare e di cui voglio parlare con voi, possibile che il guadagno sia la PRINCIPALE spinta di una realtà come quella cinematografica? Non vivo sulle nuvole, pago le bollette e so che nessuna attività vive d'amore per l'arte, ma cosa spinge una casa di produzione ad investire in quello che è evidentemente uno script scadente? Su questo poi ci torniamo.
Altra domanda che a questo punto mi sorge: perché la gente ha paura di impegnarsi? Perché cerchiamo film leggeri in modo da 'staccare' il cervello? È comprensibilissimo, tanto è vero che, come dicevo su, mi impegno a ricominciare con i FDM, ma perché ci limitiamo a quello? Perché riflettere anche al cinema ci fa paura?

Ma vediamo il film nello specifico, prendendolo come quello che è: uno dei tanti horrorini che escono tanto per trasmettere qualcosa nella sala sette in cui non si sa mai cosa sbattere.
DEBOI parla di Greta, ragazza statunitense che per scappare da una situazione difficile si rifugia in Gran Bretagna, dove è stata assunta da una coppia come babysitter del loro bambino, Brahms.
Che non è un bambino, è un bambolotto.


Pausa di riflessione: se le bambole vi inquietano statene pure alla larga che qui è tutto un mostrare il faccino tondo e sorridente in favore della luce delle candele. Oppure andate a vederlo proprio per quello, almeno avete qualche speranza di provare qualcosa durante la visione.
Se, come a me, i finti bimbi non vi arrecano danno, andate tranquilli che è una passeggiata.

Andiamo con calma dall'inizio: DEBOI ha iniziato a non piacermi dopo i primi minuti. E da questo momento in poi attivo lo SPOILER ALERT!
Greta arriva in casa, nessuno la accoglie, lei entra e si guarda intorno. È giorno, ma tutto è cupo, scurissimo, manco una luce accesa (e questa cosa delle luci tornerà). E qui parte tutta una serie di inquadrature che si vede troppo (TROPPO) quanto si sforzino di inquietarti. I corridoi bui, e le teste degli animali impagliati in penombra, e i ritratti, il tutto ambientato in una casa vittoriana bellissima e gigantesca che francamente non ha senso di esistere. Quando abbiamo deciso che la casa era un personaggio del film? Se stessimo parlando di case maledette, che sappiamo piacerci tanto, ti appoggerei l'impresa, che qua a Redroomia le case vittoriane tutte scure ci piacciono assai. (Avreste dovuto vedermi a Praga. Tutto cupo, e gotico - romanico, con le chiese imponenti e spaventose, mi sentivo come una bambina per la prima volta a Disneyland)
Ma non capisco questo sforzo sovrumano di creare l'atmosfera.
Guarda, amico mio, ti dico una cosa io che non ne so niente: hai per le mani un bambolotto. Asso nella manica incredibile, puoi giocare con quello, ma non sforzarti troppo di condurmi per mano verso la Paura.
Perché a me fa un po' tenerezza questo tuo sforzo incredibile che sembra che devi fare la cacca dura, e penso tu concordi con me che la tenerezza mi ostacola un po' lo spavento.
Faccio un esempio a favor di lettori che non hanno ancora visto il film: la messa a tacere repentina del suono, in un momento che tu mi stai indirizzando a vedere come di tensione, mi fa capire che in quel preciso momento succederà qualcosa.
E se me lo aspetto, non mi spavento più.
E sia chiaro che qui non serve fare i grandi intenditori di cinemone: basta avere visto anche giusto due cose come Bianca e Bernie o Grease per non farsi invischiare in faccende del genere. Semplicemente, non funzionano.

È tutto troppo lampante, niente è lasciato in sospeso, niente ci tiene attaccati allo schermo per vedere come finisce. Avrei anche voluto scrivere un post semplicemente sui cliché che non si riesce manco a contare, ma a che pro?
A cosa vi servirebbe sapere che, per l'ennesima, frustrante, volta, abbiamo due giovani bei ragazzi che, sempre per qualche strano caso sono entrambi single e pronti ad innamorarsi l'uno dell'altra, che dopo due volte che si sono visti sono pronti a perdere la vita l'uno per l'altra, che sono incredibilmente capaci a flirtare e che provano istantanea simpatia?
Perché lo fate?
Perché non ci provate neanche, a offrirmi qualcosa di diverso?
Perché nel 2016 una povera cretina si alza da letto in piena notte e anzichè accendere la luce o usare la torcia del telefono come qualsiasi cristiano usa una candela?
Perché non mi regalate un minimo di approfondimento, ci sono due personaggi DUE buondio, fammeli conoscere. Greta da quando scopre che il bambolotto è in realtà un bambino, o un fantasma, o boh, subisce un istantaneo cambiamento, come quando butti la candeggina sui vestiti e in due secondi questi perdono il colore.
Donna con profondo istinto materno a cui la vita ha strappato la prole che allora riversa tutto il suo amore su un cazzo di bambolotto.
Di Malcom si sa giusto il nome.
Non contano niente questi due esemplari, come non  conta niente il bambolotto, non conta niente la noia, conta solo che ti faccia pauuuuuuraaaaa

E come te la faccio, di nuovo, la paura?
Ti mando in scena un uomo violento e lo faccio comparire grande grosso e inquietante e poi faccio le inquadraturine spaventose dove ha il viso in penombra così ti inquieeeeeto.
Questo di violenza sulle donne ne sa meno di niente. Come se gli uomini violenti avessero tutti le sembianze di Khal Drogo, come se invece di solito non fossero omuncoli piccoli, dall'aspetto banale, comune. Come se ci fosse bisogno di penombrargli il viso per renderli spaventosi.
Gli uomini violenti sono terrificanti alla luce del sole, brutto deficiente. Fanno già paura, sono il Male. Smettila di perdere tempo.

E invece, di tempo se ne perde.
Se ne perde in bizzarri esperimenti scientifici in cui si dimostra che il bambolotto si muove, se ne perde con delle telefonate mute, soprattutto se lo scherzone del telefono me lo fai più di una volta perché NON. FUNZIONA. PIù.

Ci prova troppo, WBB, ci mette anche il finalone sorpresona, e si prende incredibilmente sul serio.
Peccato.

Va beh alla fine la recensione seria ed argomentata mica mi è venuta troppo bene.
Facciamo che ci riprovo un'altra volta, ok?

lunedì 14 marzo 2016

Starry Eyes

20:48
INUTILE SPOILER ALERT, IL FILM L'HANNO VISTO ANCHE I SASSI

Riassunto delle puntate precedenti: l'anno scorso, o forse due anni fa, la blogosfera in massa ha parlato di Starry Eyes. Io, come mio solito, ho segnato e recuperato con tempi biblici.
C'è una frase che riassume perfettamente i post degli altri: che protagonista di merda.
Non che non sia brava l'attrice, anzi, è stata bravissima, era proprio il personaggio che era una persona disgustosa.
Per i primi 40 minuti ho pensato che fossero tutti esagerati. Dai, un po' snobbina, un po' troppo sulle nuvole, ma non è così male sta creatura.

La creatura si chiama Sarah Walker ed è una cameriera di Los Angeles, il che sapete, se avete visto almeno un episodio di The Big Bang Theory, che significa che il suo sogno è fare l'attrice. La povera sprovveduta finisce a fare il provino sbagliato.

Cosa succede dopo 40 minuti?
La Sarah, che il giorno prima si era licenziata per seguire il suo SoGnO!!!!1111! torna con la coda tra le gambe nel fast food con il quale campava per riavere il suo lavoro. Il capo, che stupidamente si riprende questo cilindrico pezzo di cacca, le dice 'Sei una ragazza del Taters', e lei lo ripete con un disagio, con una rassegnazione e con un'autocommiserazione che mi hanno causato quasi rabbia cieca.


Analizziamo il mio odio verso questo detestabile umano.
Questa non ha 18 anni, eh, ne ha un po' di più. Penso si possa parlare di una trentenne o quasi. La suddetta trentenne o quasi ha una vita che potrei definire col più banale degli aggettivi: normale.
Ha degli amici (mediocrissimi umanoidi con tanta 'passione' ma poca sostanza, ma ricordiamoci che gli amici te li scegli), un lavoro, e un sogno. Niente di eccezionale.
Potrebbe lavorare sodo per realizzare il suo sogno, potrebbe vivere la sua vita con entusiasmo, potrebbe essere quasi felice. Sia chiaro che non parlo di fastidiose donnette forzatamente gioiose alla hills che sono alive in the sound of music, parlo di semplice approccio migliore alla vita.
E invece no. Lei è talmente concentrata su se stessa e sulla sua malata fissazione per il successo da non vedere nemmeno il mondo che la circonda (perché questa faccenda della setta ci era palese dal primo momento in cui si è visto un - pensate un po'- pentacolo, ma lei no, lei è stronza ma pure un po' tarda), come ci è molto chiaro quando Erin, una delle amiche, accusata di dormire con un amico solo per ottenere una parte, le chiede: 'Non hai mai pensato che potrebbe essere altro? Non hai mai pensato che potremmo piacerci?'.
Eh sì, cara Sarah. La gente vive. E non per il successo, vive e basta.
Se anche tu fossi arrivata in cima, cosa ti sarebbe rimasto? Il nulla. Gente sconosciuta che ti avrebbe amata, magari, ma nessuno vicino se non il tuo stratosferico ego. Per cosa avresti vissuto, allora? Se tutta la tu vita ruotava intorno ad un obiettivo, cosa avresti fatto una volta spuntato questo dalla tua lista delle cose da fare?
Questo non è sognare.
Sognare dà alla tua vita mille sfumature di colore in più, non te la distrugge così.
La sana ambizione è splendida, ti fa alzare la mattina con la voglia di essere sempre la versione migliore di te stessa.


Se solo fosse stata più umile, questa Sarah, quanto avrei pianto la sua triste sorte. Se fosse stata un'umile e ingenua ragazzina con troppa fiducia e troppa poca conoscenza del mondo avrei singhiozzato per giorni.
E invece no.
Sarah era un'adulta troppo convinta e compiaciuta di se stessa, Lei era migliore di quel branco di losers con cui era costretta ad uscire. Lei era brava, lei era arrivata, lei aveva un sogno e lo avrebbe realizzato ad ogni costo, questi bifolchi non facevano altro che tarparle le ali.
Ed è questo che l'ha ridotta in quello stato mostruoso.
(Postilla: il film è stato girato con una banconota da 5€ stropicciata, vorrei tanto abbracciare chi si è occupato del makeup, bravi al cubo. Una scena in particolare mi ha dato i brividi)
Quello che intendo è che era proprio la sua estrema fiducia in sè a causarle quelle devastanti crisi di nervi: Io sono brava, come posso non  avere successo? Come posso proprio IO, che ho un sogno così importante, a non riuscire? Questo è proprio inspiegabile!
E via di capelli strappati.
Eh, ciccia.
Dalla mediocrità ci si può innalzare, si può crescere. Se senti di essere già in cima non puoi salire di più, e finisce molto banalmente che quando poi caschi (e caschi, tranquilla che caschi) ti fai un malone dell'accidenti.

È stato interessante non avere la minima empatia per un personaggio, per una volta. Forse ho anche apprezzato che per una volta la 'vittima' non fosse l'anima innocente.
Ma al momento sto indossando il mantello della giudicatrice di atteggiamenti altrui, e questo è quello che ne esce.

(E il film è bello, che immagino sia la sola che magari in realtà vi interessi)

mercoledì 9 marzo 2016

#CiaoNetflix: The Grudge

16:20
Questo paradisiaco servizio un difetto doveva avercelo. Lo amo a sufficienza da lasciar correre, ovviamente, ma il suo catalogo horror per il momento fa piangere.
Siamo intorno alla trentina di titoli, tutti grossomodo famosi, Saw, Silent Hill, The Ring. . .il filone per ora è quello.
Si trovano anche cosine più intriganti, eh, c'è quella preziosa valle di lacrime che risponde al nome di The Orphanage, ci sta Existenz, e pure Sharknado. Ma siamo lontani dalla sufficienza per ora. SO che col tempo cresceremo insieme, io e Netflix-.

Per dimenticare le faccette della Judith di cui parlavamo ieri mi sono messa a rivedere un horror uscito nei miei anni del liceo, pieno periodo in cui ogni titolo era remake di qualcosa altrimenti non lo facevano uscire.
The Grudge forse è uno dei più famosi, uno di quelli che hanno visto anche i sassi.

Se voi non apparteneste alla specie minerale, mi tocca raccontarvi che è la storia di Sarah Michelle Gellar e Max di Roswell, Lei è un'assistente sociale, grossomodo, va a fare una visita a domicilio ad un'anziana. In casa ci stanno i fantasmi.
Tutto chiaro?
So che è complesso, ma fate uno sforzo.


No, dai che scherzo, non c'è niente di meno complesso di The Grudge.
In un altro momento lo avrei liquidato come FDC, ma in realtà non è riuscito a farmi antipatia.
Ci prova a ricalcare i suoi amici orientali, ma a parte parecchi occhi a mandorla, un paio di fantasmi che più classico di così c'è solo il lenzuolino con i buchi, di jappo ci riesce proprio pochino. Non che io mi consideri un'intenditrice, sia chiaro.
Ma qui è tutto troppo patinato e sbrigativo per riuscire a suscitare anche solo un po' di inquietudine, ci prova lui, povero, ma non gli riesce.
Secondo me è anche colpa del cast di canidi, che sembra spaventato tanto quanto il mio gatto quando parte la centrifuga della lavatrice. Stesso livello di timore, un saltino leggero e fine, livello di consolazione necessaria: rumore della scatola dei croccantini.
Quando le persone parlano dei cliché degli horror tendo ad innervosirmi, ma se ne volete un breve compendio, vi è servito su di un piatto d'argento, tiè, prodotto da Raimi. Il pacchetto comprende anche lo spaventino finale che tanto ci aggrada.

E no, stavolta non mi sono emozionata, nemmeno con la triste sorte dell'amore non ricambiato, non c'è stato verso di prendermi in alcun modo.


Ribadisco, voglio un po' di bene a tutta la faccenda, al periodo a cui è legata, alle colline che hanno ancora gli occhi, ai fantasmi giappo che però sono americani, alle telefonate che ti diagnosticano i tuoi ultimi 7 giorni e al fatto che fossero praticamente tutti dei filmacci tremendi ma che in fondo gli volessimo un po' di bene, perché vederli ci faceva sentire delle femmine toste.
A quell'età, certo.
Anche perché rivisto oggi The Grudge ci regala uno dei peggiori personaggi femminili che si ricordino, in confronto a questa Gellar siamo tutte delle Sigourney Weaver.

lunedì 7 marzo 2016

The Atticus Institute

16:51
Domenica sera, solita cena con i soliti Amici. Si parla di cose varie, tendenzialmente le solite, fino a che un amico mi chiede cosa penso dei demoniaci, io come al solito rispondo che li affronto con il coraggio che contraddistingue i gatti quando incontrano l'acqua.
Girando intorno all'argomento si finisce a nominare The Atticus Institute e io ribadisco il mio non volerlo guardare maimaimai nei secoli dei secoli.
E guai a voi se rispondete amen che proprio oggi non è giornata, eh.

Siccome, come vi dico sempre, la coerenza è il mio animale guida, oggi ho guardato sto benedettissimo film.
Lo sapevo, eh, lo sapevo come sarebbe finita. Perché li ho letti tutti i vostri post a riguardo, tutti quanti, e sapevo che mi avrebbe devastata dalla paura, ma quando si è testine di cazzo lo si è fino alla fine.


Per farla breve, l'istituto che dà il nome a questo stramaledetto film è un laboratorio di psicologia dove gli scienziati pazzi e creduloni esaminano persone che dicono di avere poteri paranormali. Sì, hanno visto qualcosina di vero, qualche truffa, però loro erano proprio appassionati, ci credevano parecchio, continuavano a cercare.
Cerca e ricerca, capita loro tra le braccia, come una manna dal cielo, Judith. Avete presente il momento in cui un nome si trasforma in un incubo? Fino a un'oretta e mezza fa il mio era Reagan, da oggi temo i nomi saranno due. Judith è una donna comunissima che inizia dopo una brutta caduta a fare cose un po' meno comuni. L'istituto non è in grado di gestire una situazione del genere da solo, soprattutto considerato che la presenza di Judith si sta rivelando più pericolosa del previsto, e quindi intervengono i pezzi grossi.

Fin dal primo istante ho saputo che guardarlo sarebbe stato un errore madornale, ma il momento in cui ho prenotato il mio posto per un viaggio di sola andata su Marte è stato quando uno degli intervistati (ne riparliamo, delle interviste) guarda fisso in camera, che gli dovesse mica venire una gobba, e dice qualcosa del tipo: 'Voi che state facendo questo film e voi che lo state guardando state attirando qualcosa di molto brutto nelle vostre vite.'
Boom, pc chiuso di scatto, lanciato fuori dalla finestra, valigia riempita e pianeta abbandonato.

Ma servirebbe? NO perché la stronza di Judith ha sempre controllato tutto e tutti pur apparendo così 'sottomessa'. Io potrei scappare fuori dalla galassia, ma se lei volesse ostacolare la mia respirazione lo potrebbe fare a migliaia di chilometri di distanza. Può fare qualsiasi cosa, in qualsiasi momento. E questi piccoli sprovveduti credevano di controllarla. Pivelli.
Scena (ATTENZIONE SPOILER): Judith legata alla sedia, chiusa in una teca di vetro come un animale da esposizione, le vengono fatte domande a cui lei risponde con versi incomprensibili. I versi vengono interpretati e cosa stava dicendo lei? Stava suggerendo le domande da farle! Cosa???!! Mi sono venuti tre capelli bianchi.
Ci provano con qualche spaventino più 'studiato', ma (incredibile ma vero) con me non è che abbiano fatto particolare presa, sono quelle cose qui che a me lasciano con la voglia di evadere.


Ma parlavamo delle interviste.
Oh, a me sono piaciute tantissimo. Quarant'anni dopo e la gente ancora terrorizzata al solo pensiero di  quella Judith, con i ricordi nettissimi di quanto accaduto perché troppo sconvolgente da rimuovere, persone con ancora un profondo senso di colpa per quanto avvenuto agli altri coinvolti...bravini gli attori e bello il tutto, tiè.

Certo, la povera Judith si è presa qualche accidente da me, me ne dispiaccio. In fondo lei è vittima tanto quanto gli altri. Qualcuno, per fortuna, durante il film se ne è ricordato. C'è stato un rapido 'È un essere umano!' che mi ha un po' riportato sulla faccia della terra.
Poi niente, lei si è messa a strepitare e io pure, dalla paura.

Avrei solo voluto un finale un po' diverso da quello di Paranormal Activity. 

martedì 23 febbraio 2016

Cloverfield

08:50
Che poderose giornate di merda, signori.
So che le avete anche voi, e non starò certo qui a lamentarmi.
Ma oggi sono incavolata come una iena, quindi esigo mostri giganti che uccidono l'umanità. Voglio vedere gli esseri umani spazzati via dalla faccia della Terra, non li sopporto più, basta, voglio solo voi virtuali che notoriamente non siete persone vere.

Siamo a New York, alla festa che i suoi amici hanno tenuto per salutare Rob, in partenza per il Giappone, dove una sfavillante carriera lo sta aspettando.
Sembra che il problema più grosso della serata sia che il festeggiato si è lasciato scappare la donna dei suoi sogni, fino al momento in cui la terra inizia a tremare, ma non c'è nessun terremoto.

Raramente ho visto found footage COSì sforzati. La camerina a mano per me è l'amica che ti mette in imbarazzo ma che adori, ormai lo sapete bene, ma in questo caso, davvero, abbiamo tirato la corda un pochettino troppo.
Se vogliamo continuare a mettere dita in grosse piaghe, possiamo anche dire che difficilmente si sopravvive ad un elicottero che cade, così come non si corre se si è appena stati infilzati con qualcosa, e sempre nel mondo in cui siamo, la testa della Statua della Libertà non sembrerebbe avere quelle dimensioni.


Credete queste siano critiche mie?
Nossignori.
Stanno in giro sull'internet.
Tutte verissime, per carità, lo so io, lo sapete voi, e ci scommetterei le chiappe che quello che lo sa più di tutti è il signor JJ, che qui indossa il camice del produttore.

Ma onestamente, a qualcuno interessa?
Perché io ero sul divano ad ammirare grattacieli crollati, militari in posizione, una GIGANTESCA bestia che corre anche piuttosto veloce, strutture d'emergenza piene di feriti, pianti e disperazione.
E va bene così!
Questo volevo, oggi, e questo ho avuto.
Ne consegue che Cloverfield mi sia piaciuto.

Magari in un altro momento mi avrebbe fatto pietà, e questa consapevolezza mi porta come sempre a chiedermi perché mi ostino a scrivere dei film senza averci riflettuto nemmeno per un istante. E su quanto la vita reale influenzi il nostro modo di amare ciò che reale non è.
Ero incavolata nera (lo sono spesso, sob), ho visto una cosa che ha sollevato i miei pensieri dalla testa e che ha distrutto l'intera Nuova York, mi sono sentita meglio.
Quindi è vero che il cinema non deve essere solo drammi impegnati e filosofeggianti sul vero e profondo senso dell'esistenza. Ogni tanto vogliamo a tutti i costi mantenere l'allure dei cinefili intellettualoidi e ce lo dimentichiamo. (pluralis maiestatis)


In fondo va anche bene così. Leggiamo riviste sinistroidi che parlano di cinema d'essai dai titoli incomprensibili e dai significati che lo sono ancora meno, e il giorno dopo ululiamo cori da stadio di fronte ad uno dei principali simboli del mondo occidentale che viene decapitato da un mostro gigante.
Si chiama equilibrio, e ci sto lavorando.

sabato 6 febbraio 2016

La Cueva

16:01
VI ROVINO IL FILM. LETTORI AVVISATI...


Cara, cara Bego,
io sono te, e tu sei me.
Una rognosa piattola con un bassissimo livello di tolleranza.
Ti ho vista e ti ho amata.
Ti ho vista avere paura di volare, e ti avrei abbracciata, perché devi sapere che a me manca il respiro solo a guardare l'inceneritore di Brescia perché è alto ed azzurro, pensa un po'.
Ti ho vista arrivare a Formentera e anziché lanciarti in banalotto (seppur sempre gradevole) divertimento da spiaggia ti ho vista lanciarti con i tuoi amici all'avventura, in un campeggio abusivissimo e isolato. Le mie avventure rispondono al nome di Airbnb, ma insomma, è lo spirito a valere.
Ti ho visto, che tu in quelle grotte mica ci volevi andare. E io, come te, pensavo a che idea del cazzo fosse entrare in una grotta sconosciuta sperando che le cose finissero bene. Non succede mai.
Certo, hai una compagnia terrificante, Bego, amici infimi e con uno scarsissimo quoziente intellettivo, ma non è questo il punto del nostro disquisire.
Sei stata la più rompicoglioni del film, ma sei stata realissima. Basta con i finti eroi, con l'ostentazione di un sangue freddo che avranno sì e no cinque persone al mondo.
Se ci perdessimo in una grotta e stessimo morendo, la maggior parte di noi persone reali farebbe quello che hai fatto tu: si accoccolerebbe per terra a piangere tutte le proprie lacrime sperando nella Divina Assistenza. Ci lasceremmo morire, salvo poi supplicare pietà nel momento in cui la morte si avvicina davvero. E per questo ti ho voluto bene, e ho sofferto tanto con te. Per te. Per quella scena un po' forzata, forse, ma che non escludo sia possibile. Stavano morendo di fame e parlavano di te come se fossi già carne da macello. E invece eri lì e li sentivi parlare di mangiarti. Anche il destino (o il culo, se vogliamo parlare di cose in cui credo davvero, ché il destino è una cagata cosmica e lo sappiamo entrambe) ti si è rigirato contro.
Ho sofferto con te e con la tua Celia, e anche un po' per quella faccia di merda dell'amico vostro pelato. Ti stava mangiando una gamba, ma ha chiesto di non essere ripreso proprio in quel momento. Come se l'oscurità togliesse realtà a quello che stava accadendo: se non lo vedi non è reale.
Ho voluto bene anche a lei, Celia, silenziosa e senza pretese per tutto il film, da bravo personaggio che doveva contrapporsi a te, per poi tirare fuori un misero e fallimentare tentativo di rivalsa.
E allora via, inseguimenti nelle grotte, minacce di morte, insulti.
Tra esseri umani che avevano invece un bisogno estremo di collaborare.
Meno male che sei morta prima, Bego.
Meno male che non hai visto la bassezza dell'animo umano, quella che tiriamo fuori solo quando salvarci la pelle diventa più importante di qualsiasi altra cosa, della legge statale e di quella morale. Conserva l'immagine dei tuoi amici fuori dalla grotta, cinque pirla dall'ironia un po' infantile e dall'ubriacatura facile.
Quello che c'è dentro quella cueva non ti sarebbe piaciuto.

domenica 24 gennaio 2016

Cinema Italiano I love You: Shadow

14:41
SPOILEEEEER! NEI SOTTERRANEI, SPOOILEEEER!
Io ve l'ho detto.


Quando i cinebloggers chiamano io sto sempre lì, in prima fila, col braccio alzato a scalpitare per partecipare sempre. Stavolta Alessandra, sempre di Director's Cult, propone il cinema italiano, tanto per ricordare a chiunque bazzichi da queste parti che non siamo solo Checcozaloni.
E io non è che mi drogo.
Shadow è un film italiano davvero, fidatevy.
Diretto dal buon Zampaglione, tanto per darvi conferme.

Premessa, io sono contenta che Zampaglione esista e si sia messo dietro la mdp.
Il catalogo italiano offre commedie che generalmente mal tollero oppure filmoni intensi e importanti pregni di significato e di denuncia sociale. E va bene, queste cose vanno bene, ci vogliono. Ma se sono solo queste è mica vero che al quarto film italiano di fila io devo sbattere ripetutamente la testa contro il muro?
CHE NOIA.
Il mio caloroso benvenuto va quindi a qualsiasi proposta che si discosti da questo percorso che chissà quali circostanze hanno contribuito a creare.


In Shadow abbiamo un reduce di guerra partire per un viaggio per l'Europa, per lasciarsi tutto alle spalle. Durante una gita in bici in montagna incontra una giovane, con la quale metterà i bastoni tra le ruote ad un paio di cacciatori che non la prenderanno molto bene.
La vera morale del film ti insegna che anche quando credi di essere il più cattivo, ci sarà sempre qualcuno più cattivo di me.
E se ti prende sono volatili senza zucchero.

Non mi sono mai messa a parlare dei significati metaforici di un film perché io poetica mai. Non inizierò certo adesso, mi limito a linkarvi questo post de Il Buio in Sala. Nono solo il buon Giuseppe fa una delle sue inimitabili analisi, ma lo stesso Zampaglione nei commenti ha illustrato i suoi intenti.
Niente di quello che potrò mai dirvi io potrà mai valere più di quello che ha detto chi 'sto Shadow l'ha creato.

Quindi, come al solito, parliamo di sensazioni a pelle. (E a proposito di pelle vi comunico che io, sempre sul pezzo, scopro la storia della pelle dei rospi solo guardando questo film, #Zampaglioneperilsociale)
La mia, di pelle, non è ricoperta di droghe, il che è utile se devi lasciarci entrare le sensazioni che ti sta trasmettendo un film. In questo caso avrei quasi preferito di essere un agglomerato di sostanze illecite, perché sotto la pelle mi sono entrati sporcizia, malanno, senso di colpa. Mi è penetrata nei pori l'aria sporca, scura, malsana che si è respirata nell'ultima parte,
Mi si è risvegliata una profonda repulsione per la guerra, che credo sia insita nell'essere umano. Mi è salita la paura, ho sentito il pianto di un bambino e mi sono venuti i brividi.
E quella palpebra tagliata, rivista con la consapevolezza che non fosse una tortura casuale è raggelante.
Con me Shadow funziona, alla grande.


E poi, lo spoiler.
Avete presente quando un film si avvicina al finale e vi ritrovate a dire: 'Adesso è tutto un sogno, eh, minimo!'
Ecco, stavolta lo è davvero.
Incredibile.

Non sono ovviamente la sola ad avere parlato di cinema italiano, però. Ci hanno pensato anche loro:
Solaris: Io sono l'amore
White Russian: Non essere cattivo
Pensieri Cannibali: Non essere cattivo
Director's Cult: Il volto di un'altra
Non c'è paragone: Basilicata Coast to Coast
In Central Perk: Maicol Jecson
Bollalmanacco: Almost Blue
Delicatamente perfido: Italiano medio

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