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lunedì 21 maggio 2018

Non-Geek Guide: Deadpool 2

14:24
Ieri ho visto Mad Max: Fury Road per la prima volta. Serve che vi dica cos'è? Il mio post sarebbe tutto scritto a versi tipo: ooooooo ppppuuummm sbbbaaaaaaammm e emoji delle bombe.
Oggi, quindi, parliamo di un cretino con la tuta rossa.

Temo che questa cosa ormai abbia bisogno di un suo nome e di diventare una rubrica a tutti gli effetti: una riunione di tutti i post in cui parlo di cose della cultura geek con uno sguardo che più esterno e ignorante non si può.
Questa rubrica è tutta per voi, amici e amiche che venite trascinati in sala a guardare di gente con le tutine, navette spaziali e ragnatele lanciate dai polsi.
Se voglio che il moroso guardi con me Dogman devo fare la mia parte, e questa settimana la mia parte è stata Deadpool 2.


Io lo dico prima della trama così ci togliamo il pensiero: a me Deadpool piace da matti, non so cosa farci. Non mi riconosco nemmeno.

Il tutino in questione è Ryan Reynolds.
Nei primi minuti del film gli succede una cosa tremenda, inimmaginabile, e quello che noi vediamo sullo schermo è quello che succede nella sua vita dopo il fattaccio.

Trama che non dice assolutamente nulla, ora che la rileggo, ma va bene così, perché di questo film non vi dovete rovinare NIENTE.
Niente trailer, niente recensioni (ehm), niente foto dal set. Statene lontani ed entrate al cinema vergini di informazioni. L'espressione che viene sulla faccia di tutti a due minuti dall'inizio è impagabile.

Perché Deadpool è diverso dagli altri e soprattutto perché voi, compagni della squadra Non-Geek, non avete niente da temere?
Perché fa spaccare dal ridere.

Mi piacerebbe avere migliori proprietà di linguaggio per esprimere un concetto così semplice, ma non ce n'è per nessuno: Deadpool fa fare proprio quelle risate grasse da tenersi la pancia, e ad un certo punto del film l'infilata di cagate esilaranti è tanta e tale che non si riesce nemmeno più a ridere, si guarda allibiti lo schermo cercando di capire fino a che punto Reynolds e tutta la squadra possono spingersi nel prendere così selvaggiamente per il culo tutto quello che è arrivato prima di loro.
Intendo TUTTO, arrivare fino alla fine per credere.

Io, i miei DVD di Truffaut presi in biblioteca per guardarli con gli speciali, la mia borsa hipster del New Yorker e la mia bici da uomo possiamo prendere il nostro snobismo e infilarcelo nel borsello da galera (wink wink), perché non se ne esce indenni. Nemmeno l'ironia scoreggiona nella quale inevitabilmente a volte Pool finisce ci possono fare storcere il naso. Ci sono le parolacce, i genitali, la pipì e le chiappe, il pacchetto American Pie al completo.
Eppure funziona, perché le sue vittime non sono gli spettatori, che quando vanno a vedere un film di Deadpool sanno esattamente cosa aspettarsi e non sono presi per i fondelli, ma il mondo intero dei supereroi, nelle loro versioni cartacee e cinematografiche, nei loro strafalcioni e nel loro crederci sempre un pelo troppo. Non si salva nessuno.

Deadpool 2 ha fallito completamente nel trovare in me il minimo coinvolgimento emotivo: non mi sono emozionata per nulla per la tragedia iniziale (per il finale un pochino sì, bisogna riconoscerlo), e con me è un miracolo perché piango sempre.
Ha lasciato fuori la testa e il gusto per i film impegnati e impegnativi, ha dimenticato di prendermi il cuore, ma la pancia, e quel divertimento crasso che mi dimentico spesso quanto bene mi faccia, se li è presi e maciullati.

E siccome oggi sono così easy e giovane e guardo i film di supereroi, il modo per definire sto film è uno solo.
Che figata.



sabato 11 aprile 2015

Il fenomeno Amityville: parte III

15:03
Miseria che pagliaccia.
Settordici rubriche iniziate sul mio spazio preferito del webbe e manco UNA DICO UNA conclusa.
Ottimo lavoro.
Siccome però non voglio che la redroom prenda polvere e ragnatele più di quante già non ne abbia per sua stessa natura di posticino cupo e gotico (ssssse), riprendiamo in mano qualcosa qua e ricominciamo a parlare di Amityville.
Se pensavate che il mio essere intrigata dalla vicenda sia esaurito solo perché ho messo in pausa l'argomento, beh, vi sbagliavate.

Ci siamo lasciati parlando di Amityville Possession, secondo film uscito, che come gadget di fine visione ci aveva lasciato la cagarella. Dopo di lui sono arrivati altri 6 (SEI, SEI!) film, di cui la maggior parte destinati alla tv.
Per questo ho deciso di trasformarmi in una specie di Marty McFly e volare dritta dritta al 2005, quando tale Andrew Douglas ha detto:
'Oh ma nessuno si caga Ocean Avenue da un po', che dite, ci torniamo?'

Ci sono tornati.

The Amityville Horror - 2005 - Andrew Douglas

Ormai ne abbiamo parlato tempo fa: ad inizio anni 2000 era tutto un riportare in sala film anni 70-80 come se fosse l'unica cosa possibile. Ovviamente il 112 di Ocean Avenue non poteva essere immune da tale invasione, per cui siam qui.


Stavolta George Lutz è Ryan Reynolds.
Trattenete lo sguardo sgomento, ci torneremo.
La storia è sempre la stessa: Robert DeFeo Jr uccide la sua famiglia nella loro casa. Casa che verrà poi acquistata dai Lutz: mamma, papà e tre bambini.
La permanenza non sarà esattamente gradevole, ma già lo sapete.

Sono passati quasi 30 anni dall'originale, ma è davvero cambiato qualcosa?
Temo di no.
Il primo Amityville era abbastanza mediocre, non certo un film che colpisce. Questo è mediocre pure.

Il cast è molto MEH.
Io non è che abbia qualcosa contro Ryan Reynolds o Melissa George, i genitori. Davvero.
Ma cosa avranno avuto, 25 anni?
Con un figlio di almeno 10/12?
Mah.
Certo, c'era pure una piccola e ttttenera Chloe Grace Moretz, che nell'horror a continuato a bazzicarci per un po'. Ecco, lei era tanto bellina.

I bus ci sono, alcuni anche abbastanza efficaci, effettivamente. I mostri brutti e putridi qui vanno via come il pane.
Ma l'atmosfera è del tutto assente, SPOILER l'happy ending era cristallino dal principio, cosa che non dovrebbe essere perché mica tutti gli spettatori sanno com'è andata la vicenda 'realmente'. Non c'è tensione, non c'è ansia crescente. Anche perché nel giro di 20 minuti si è passati da Raianreinolds adorabile bellissimo desnudo paparino tenero e marito meraviglioso a brutti infame maleducato. Non c'è una discesa nel vortice, non c'è una caratterizzazione tale che ti permette di cogliere i cambiamenti in modo radicato e terribile. 5 minuti e prima abbraccia la bimba e poi quasi prende ad accettate la mano del bambino.


Certo, qualcosa di buono c'è: ho amato l'attenzione ai dettagli della casa. Rubinetti, finestre, grate, tegole. Sono presenti, messi in evidenza. E in una saga in cui la casa fa tipo il 50% del fascino, direi che è sempre gradevole darle l'importanza che merita.
Certo, una bella casa non basta.
Ma poteva andarci peggio.

Ad oggi, almeno, ho la mia precisa opinione sulla vicenda.
I Lutz sono stati subdoli. Hanno sfruttato una tragedia reale e ci hanno lavorato su fino a sanare i debiti della loro famiglia.
E questo potrebbe anche essere eticamente scorretto, se vogliamo. Anzi, dai, è ovvio che lo è.
Ma qua non si fanno certo lezioni di morale, non è quello che mi interessa.
Il risultato di tale operazione è un fenomeno davvero intrigante. Serie (lunghissima) di film, libri (di cui parleremo), documentari. Tanti di questi sono prodotti davvero poco potenti, eppure la saga non ha mai subito una battuta d'arresto, anche questo è interessante. Tutto nato da una bugia ben raccontata. E a cui tutti (o quasi) hanno creduto fino al momento della 'smentita' ufficiale.
Io ci ho creduto.
Mi spiego meglio: non credo alle mosche che escono in massa ad aggredire il prete, non credo ai cimiteri indiani che fanno resuscitare le altre persone.
Credo nel potere della suggestione.
Ci credo sinceramente che una persona, magari stressata dalla vita (ma non lo siamo poi tutti?), magari piena di debiti che ha fatto per comprare quella stessa casa, magari angosciata da pensieri di natura varia, e magari un po' credulona o ignorante, possa farsi condizionare da un'abitazione misteriosa.
Ci credo che uno possa auto inquietarsi, auto convincersi che qualcosa non va, fino al punto in cui i suoi timori si rivelano fondati.
Ma tant'è, era una bufala.




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