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domenica 9 maggio 2021

Tre saggi sul cinema dell'orrore

08:31

 Devo soffiare via la polvere dal blog, è un po' che non torno.

Presente quando dicevo che il 2021 mi stava mettendo alla prova? Pare che non sia ancora bene convinto dei risultati, ecco, e che mi voglia testare ancora un po'. 

Mi sfogo usando molto di più Instagram, che è un po' più immediato, però poi quel posto qua comincia a mancarmi molto e quindi rieccoci, questa volta per parlare di libri.


All'inizio dell'anno sono entrata in possesso, attraverso modi che il fruitore medio di internet conosce alla perfezione, di un numero bello sostanzioso di saggi sul cinema dell'orrore, di quelli che si trovano su amazon a 50 paperdollari l'uno spediti dall'inferno con 70 milioni di euro di spese di spedizione. Parlo sempre per iperbole, ma ci siamo intesi.

Insomma, finalmente quest'anno ho ricominciato a fare la cosa che mi piaceva di più: studiare. Non che prima non lo facessi, ma adesso ho a mia disposizione una bella serie di libroni che accarezzo tutte le sere prima di andare a dormire.

Oggi parliamo dei primi tre.


Foto di David Kennedy su Unsplash

. Men, Women and Chainsaws. Gender in the modern horror films. Carol J. Clover

Non potevo che cominciare unendo due delle mie passioni più grandi: horror e femminismo. Questo, del 1992, è la vera pietra miliare sul tema. Non è solo il testo che ha introdotto la final girl sia come termine che come oggetto di studio, ma ha davvero vivisezionato alcuni dei generi principali per presentarceli in ottica femminista. 
Si parla nello specifico di slasher (ovviamente), di demoniaci (altrettanto ovviamente) e infine di rape and revenge (va beh chiaro, no?).
Quello che fa la favolosa autrice, con un linguaggio semplicissimo e discorsivo, è portare alla luce le dinamiche che hanno fatto sì che storicamente certi film siano stati tutti realizzati in un certo modo. La motivazione principale è una, quella che possiamo facilmente immaginare tutti: il target del cinema dell'orrore è stato da sempre l'uomo bianco. Basta ampliare di un minimo le proprie conoscenze sul tema per sapere che l'uomo bianco è il target di tutto, anche inconsapevolmente. Del resto, Simone de Beauvoir lo ha sempre detto, noi donne siamo l'Altro, il diverso, l'eccezione. Il cinema è un'industria, e in quanto tale si unisce a tutte quelle dinamiche che vedono le donne come la minoranza. Le donne sono quindi le sole vittime deliberate dei villain degli slasher (se si uccide un uomo è perché si è messo in mezzo ai piedi), e il "tifo" dell'audience è orientato verso il killer per quasi tutto il tempo. Quasi, perché ad un certo punto si delinea il profilo della final girl, e l'attenzione dell'uomo si sposta. La final girl è sì la virginale candida che ha visto morire le sue amiche disinibite, ma assume caratteristiche maschili al punto che spesso persino i nomi lo sono: Laurie, Charlie, Sidney, Max. Ma non solo. Sono le donne quelle possedute nei film demoniaci, perché per la religione cattolica stessa la possessione avviene in caso di maggiore fragilità, sono loro quelle che aprono la mente al demonio. 
Infine, ma non per importanza, il tanto chiacchierato rape and revenge. 
Qua va segnalato un trigger warning importantissimo: il libro parla approfonditamente (mooooolto approfonditamente) di I spit on your grave, e lo fa con dovizia di particolari. Il film è una visione di merda (non che faccia schifo il film in sé ma che di sicuro sia difficilissimo, quasi impossibile per una donna, è innegabile) ma il libro non lo rende più semplice. L'analisi che ne fa è importantissima, approfondita, su un tema che a me ancora oggi non fa avere le idee chiare.
Questo non è mica un libro che posso consigliare io, è uno di quei testi fondamentali che avrei voluto conoscere molto prima, ed è anche quello che mi ha fatto capire che voglio prendere una direzione che unisca sempre di più i miei due argomenti del cuore, almeno per quanto riguarda lo studio. E se un libro mi fa venire ancora più voglia di studiare, per me è il libro migliore del mondo. Questo, peraltro, è molto vicino ad esserlo davvero. Lo rileggerò spesso.


. Hideous progeny. Disability, eugenetics and horror cinema. Angela M. Smith

Avevo deciso di concentrarmi su saggi che non fossero semplici storie del cinema, per aumentare la mia capacità di analisi e di raccontare il cinema su questo spazio. Mi sa che con questo libro ho fatto il passo più lungo della gamba. Chissà se è un modo di dire di tutta Italia.
Dunque, questo è un saggio che, come si intuisce dal titolo, mette in relazione i grandi film classici degli anni '30 con, appunto, disabilità ed eugenetica.
Voglio chiarire subito come la penso: qua è stata colpa mia. Io per quella lettura qua non ero proprio pronta. Mi interessava da morire il tema, proprio perché come dicevo su voglio fare un percorso che non sia solo storico. Però per me questa è stata una lettura troppo impegnativa. Non ne ho tratto troppo di positivo perché ho passato metà del tempo su google a cercare di capire cosa mi stesse dicendo. Leggo in inglese da diverso tempo, ma questo testo ha un linguaggio molto scientifico (potevo arrivarci visto che ha già l'eugenetica nel titolo? sì) che mi ha reso la fruizione complessa. Già io e la scienza siamo due mondi lontanissimi, sono una capra totale (migliorerò) pure in italiano, figuriamoci in inglese. 
Alla fine ne sono uscita indispettita e con l'ego in frantumi, ma a quelli di voi che sono interessati lo consiglio molto perché il tema è interessantissimo: si rileggono Dracula, Frankenstein e naturalmente Freaks in modo da approfondire attraverso di loro il significato che l'eugenetica ha avuto in quel momento storico e il modo in cui la disabilità è stata vissuta. Non posso quindi dire nulla di male sul saggio in sé, che parla di cose importanti e lo fa con enorme competenza.
Sono io che quella competenza lì ancora non ce l'ho. Ma ritornarci è una delle missioni del mio viaggio tra tutti questi saggi.

. Shock value. How a few eccentric outsiders gave us nightmares, conquered Hollywood, and invented Modern Horror. Jason Zinoman

Dopo la batosta precedente, dovevo darmi una ridimensionata. Ok Mari che vuoi fare un bel percorso di studio, ma non devi partire subito dalle cose più toste. Ho deciso quindi di passare a questo testo adorabile ma decisamente più leggero. Jason Zinoman ci racconta di quei nomi che oggi guardiamo con le stelline negli occhi. Parla (tanto) di Carpenter, di O'Bannon, di Romero, Craven e Polanski. Ci parla di loro con grande affetto, delle loro vite e delle cose che hanno portato i loro film in essere. Ci sono racconti di litigate, gossip su matrimoni falliti, amicizie rovinate e problemi con i produttori. È un libro divertentissimo, che offre uno sguardo sui retroscena, su cosa significava all'epoca avere un film in testa e dover trovare il modo di realizzarlo come lo si voleva. 
Non è un saggio che analizza il cinema, ma racconta come certe storie oggi iconiche sono nate, e questo passa anche attraverso la vita dei loro creatori. Per quanto mi riguarda un testo ben più leggero dei precendenti, ma non per questo meno interessante, anzi. 
Ottimo per ricavarne aneddoti da raccontare a tavola per fare colpo su quella tipa che vi piace e che è venuta a cena con la maglietta di Debra Hill. Lei con ogni probabilità l'aneddoto lo saprà già, ma voi mi sentirete più sicuri di voi e la serata filerà liscia come l'olio.


giovedì 4 febbraio 2021

Classici del femminismo: Il secondo sesso

11:25

 Rieccoci alla consueta rubrica "La Mari apre mille rubriche e ne porta avanti la metà".

Mesi fa avevo iniziato una rubrica dedicata ai classici del femminismo. La rubrica in questione consta di ben un solo post, su Una donna di Sibilla Aleramo. Dopo quella lettura, che già mi aveva messa alla prova perché è un libro straziante, ho pensato che studiando i classici non sarei potuta scappare a lungo dal loro capostipite. Il classico dei classici. Il Guerra e pace dei testi femministi. E se da una cosa non si può scappare, meglio farla subito. Quindi eccomi qua, quasi un anno dopo, stanca e riportante ferite di guerra, a parlare di quel mastodontico capolavoro imprescindibile che è Il secondo sesso, di Simone de Beauvoir.



Scritto nel 1949, il testo più famoso della filosofa francese ha preso la storia dei femminismi e l'ha rivoluzionata. Leggerlo una settantina di anni dopo è un'esperienza, come dire, interessante. Immaginare la mole di lavoro che sta dietro la stesura di un testo del genere fa girare la testa. Del resto SdB parla per le donne e per farlo ha parlato, letto e studiato, un sacco di noi. Il libro, per tutta la sua imponente mole, è pieno di brani, citazioni, esperienze, testimonianze. Le note sono parte integrante della lettura, un Infinite Jest dell'esistenzialismo. 


Ma come si legge, oggi, Il secondo sesso? Questo non è un testo "attivista", per stessa ammissione della sua autrice. Le quasi ottocento pagine che lo compongono sono un approfondito saggio di natura filosofica, che solo nella sua parte finale, quella delle conclusioni, propone azioni concrete. Per tutto il corpo del testo, però, troviamo la donna vivisezionata. Prima da un punto di vista biologico, poi spirituale, poi sociale, poi storico, poi artistico. Non un solo aspetto viene lasciato fuori, la ricerca fatta è a 360 gradi. L'esplorazione passa dalle bambine, alle adolescenti, alle giovani donne, all'anzianità. Tocca le donne sposate, le innamorate, le prostitute, le sole, le vedove, le lesbiche. Se mai ho visto un esempio completo di rappresentazione, signori, è in Simone de Beauvoir. 

Quello che fa è molto semplice: prende ogni singolo aspetto della vita di una donna e la mette al confronto con quella di un uomo. Emergono le inevitabili differenze, che ci sono e guai a negarle, ed emerge insieme ad essere la totale inadeguatezza delle differenze sociali. Nessun tipo di distinzione tra i generi giustifica la differenza delle vite, mai. E credetemi se vi dico che di esempi ne prende, e tanti. 


La lettura, fatta oggi, e quantomeno per me, è davvero impegnativa. Il primissimo motivo è che, e qui faccio un mea culpa, non tocco un testo filosofico dalla fine del liceo. Amavo tantissimo la materia ma per qualche motivo l'ho lasciata andare ed è un modo di affrontare il mondo e il pensiero a cui devo semplicemente riabituarmi. Per questo l'ho trovato a tratti impegnativo e ho dovuto forzarmi di andare avanti e resistere alla tentazione di abbandonarlo per riprenderlo in un momento più "favorevole". La seconda è che leggerlo da donna è una continua bastonata sui denti. Pagina, dopo pagina, dopo pagina, per ottocento benedette pagine, la narrazione di soprusi, violenze, sopraffazioni, calpestamenti, logora dentro come un veleno. Quello che la donna subisce (presente voluto) dal momento in cui nasce a quello in cui se ne va è una costante sberletta in faccia, e il libro ne ripercorre ogni aspetto. Non è certo un page turner, anzi. Ogni tanto serve una boccata d'aria di sollievo.


Se oggi ho il mio bloggettino in cui posso dire tutto quello che mi pare e piace e ho un lavoro e posso convivere senza essere sposata lo devo indubbiamente a tutte quelle che sono venute prima di me e ne sono grata, ma leggere un testo di 70 anni e vedere quanto i cambiamenti siano stati superficiali se vogliamo, è angosciante. Toglie il fiato. Il capitolo sull'aborto avrebbe potuto essere scritto ieri, è terrificante. 

Dopo una battaglia per arrivare alla fine, sono giunta alle conclusioni. In queste, e in generale nella parte finale del testo, SdB sostiene che le donne siano quello che sono per il modo in cui la società le ha formate, e che sia per questo compito della donna trascendere le limitazioni che le sono imposte. Sto ovviamente semplificando un concetto molto più ampio. Nel 2021 è chiaro che questa visione sia privilegiata (consapevolmente, de Beauvoir era socialista e conscia della sua posizione borghese e di potere) ed escludente, che a moltissime donne del mondo non è concesso di "prendersi i propri spazi" o imporsi. Il movimento di liberazione della donna non può passare solo attraverso la scelta, per quello che lo desiderano, di una relazione aperta o di un lavoro che renda autonome. Si tratta di un processo ben più ampio della nostra lussuosa sfera occidentale (dove abbiamo comunque tantissimo ancora da fare e spesso poche possibilità di farlo), e oggi per fortuna ne siamo più consapevoli.

Questo di certo non annulla il valore immenso del libro, che ha travalicato i decenni ed è arrivato a noi ancora spaventosamente attuale. Il femminismo moderno ha nei confronti di de Beauvoir un debito immenso, e dal libro questo è cristallino.


Quello che è altrettanto cristallino, però, è che Il secondo sesso non è una lettura che consiglio a cuor leggero, e che forse io stessa avrei dovuto affrontare preparandomi di più. È intenso, assorbe energie e pensieri, richiede una concentrazione e un'attenzione che io non sempre in questo periodo, e per tutti gli scorsi mesi, ho avuto. Mi sarebbe piaciuto studiarlo a scuola, leggerlo insieme a qualcuno che da più giovane mi accompagnasse attraverso le infinite cose che si imparano. 

Chissà che prima o poi non si arrivi anche a questo, nelle scuole italiane.

mercoledì 28 marzo 2018

Saggiumia: Saper vedere il cinema, Antonio Costa

13:57
So che queste introduzioni servono più a noi stessi per autogiustificarci che non a chi legge: non siamo tutti youtuber con migliaia di follower e fan devoti, e meno male.
Dall'inizio di questo anno un po' impegnativo, però, ho, nell'ordine: iniziato una programmazione che non sono riuscita a seguire, lanciato uno 'speciale' che non sono riuscita a fare e, addirittura, smesso direttamente di scrivere post.
Sono solo presissima da novità sul lavoro che mi tolgono moltissimo tempo ed energia, e quando sono a casa e potrei lavorare al blog e ai due libri con i quali sarei in ballo preferisco cazzeggiare e guardare Storie Maledette.
Cercherò di ridarmi un equilibrio nella gestione delle cose, per ora, però, mi limito a dirvi due paroline su un saggio che ho da poco finito di leggere.


Sapevo che prima o poi mi sarei dovuta mettere a leggere dei saggi sul cinema. Nella mia biblioteca giravo loro intorno da un po' per un motivo o per un altro li lasciavo sempre lì. Principalmente perché finora non ho mai letto molti saggi, ma l'ingresso nella mia vita del magnifico Yuval Noah Harari ha messo in me la voglia di non leggere altro che divulgazione, informazione, educazione.
Eccoci qui, quindi, a fare due chiacchiere sul libro di Costa.

Saper vedere il cinema si pone l'obiettivo di rendere la visione dei film un po' più consapevole. Non vuole essere un omnibus, non vuole rispondere ad ogni domanda possibile nè tantomeno ricostruire nel dettaglio la storia del cinema. Cerca di fare di tutto un po', dando un'infarinatura generale che è un ottimo punto di partenza.
Costa stesso, infatti, conclude ogni capitolo con un elenco di libri da consultare per chi fosse interessato ad approfondire ogni argomento. La lista è infinita e io non gli starò mai dietro, ma è interessante avere qualche titolo di riferimento.

Si parte, nella prima metà del testo, con la storia.
Dai primissimi esperimenti di quei fratelli francesi laggiù fino ai giorni nostri, si ripercorrono velocemente le tappe principali della storia più appassionante di sempre, con particolare attenzione a sottolineare cosa di un certo periodo o movimento abbia portato a quello successivo e così via. Si parla di esperimenti, delle major, dei registi più noti e dei loro lavori principali.
Come vi dicevo, non può e non vuole essere completissimo, ma è un modo secondo me perfetto per capire su cosa ci può interessare concentrarci.
Ci va di conoscere meglio la Nouvelle Vague? Bene, Costa ce la contestualizza un pochino, ci dà qualche nome, qualche film imperdibile e, alla fine, qualche suggerimento per informarci ancora di più. Forse se siete già buoni conoscitori, almeno un minimo più della zappa che sono io, un testo di questo tipo può risultare solo un evidenziare cose già note.
Al contrario, l'ho trovato un modo perfetto per iniziare. Ho annotato (sì, perché quando leggo i saggi prendo appunti, mi aiuta a tenere le cose più a mente) nomi, titoli, cose da leggere, persone da conoscere. Riesce nell'intento (che non è forse quello di tutti i saggi?) di portare a desiderare di più, altra conoscenza, altre informazioni, altro cinema.

La seconda metà, infine, è quella più interessante, quella 'tecnica'.
Anche qui, se il cinema già lo conoscete, non fa per voi, alcune cose le sapevo pure io ed è tutto un dire.
Costa, però, è stato bravissimo nel concentrare i concetti principali, dando loro un minimo di storia, di definizione e riempiendo il tutto con i soliti, utilissimi, esempi, che rendono il tutto più stimolante.
Si parla di make up, di effetti speciali, di montaggio e fotografia, e di che come un film si scrive. A parte una parte infinita in cui si sottolinea in modi estremamente dettagliati la differenza tra trucchi ed effetti speciali, che mi avrebbe spinto a spararmi in un piede, il resto è rapido e scorre preciso e scorrevole, senza l'effetto 'lezione scolastica', che è ciò che fino ad ora mi aveva allontanato dalla saggistica scritta per avvicinarmi, invece, al linguaggio ben più discorsivo e gradevole dei documentari che popolano non solo il mio cuore, ma anche Netflix.

Costa non si è solo conquistato le mie simpatie, ma anche un posto speciale nel mio quaderno degli appunti, che ora per colpa sua è pieno di freccine, post it e titoloni evidenziati.
Ché io avrò pure quasi 30 anni, ma niente mi rende felice come la cancelleria usata.

giovedì 18 maggio 2017

Non solo cinema: Breve storia di (quasi) tutto

19:42
Mai letto saggi in vita mia, fino ad ora. Sono sempre stata tra quelle spaventate all'idea di leggere polpettoni infiniti, e i romanzi continuano ad essere quello che cerco più volentieri.
Però è arrivato Bill Bryson, e qualcosa è cambiato.


Breve storia di (quasi) tutto è quello che promette: un lungo racconto sulla nascita delle scienze come le conosciamo oggi.
Spoiler: fa tanto ridere.

Partiamo dai miei precedenti: io sono un'umanista, mi pare quasi ovvio. Alle superiori ogni parvenza di scienze mi dava la nausea, ho sempre fatto francamente schifo in ogni materia scientifica e oggi non so niente. NIENTE NIENTE. Esco con una compagnia di persone decisamente più intelligenti di me che ogni tanto si perdono in interessantissime discussioni di natura fisica, o chimica, o medica, e sono certa siano divertentissime. Io mi limito al sorrisino da bionda a cui si è bucata la gomma della macchina e attendo che si ritorni a parlare di scemenze, quelle che mi vengono meglio.
Adesso, però, posso raccontare loro di quel ricercatore che si beveva tutti i beveroni e infatti l'hanno trovato secco sul tavolo della cucina perché chissà cosa si era preparato.
E sapete perché?
Perché il testo di Bill Bryson è così.
Con un linguaggio a prova della bionda di cui sopra, ripercorre la storia dell'umanità e delle nostre conoscenze, riuscendo, ai miei occhi in maniera miracolosa, a non essere mai noioso. E badate che il libro è lungo venticinquemila pagine, il rischio c'era.
(Parlo per iperbole, ormai ci siete abituati, vero?)
La sua ironia è sottile e inaspettata, spunta tra una spiegazione e un racconto, con una battuta fulminea o con un aneddoto incredibile, ed intrattiene con la piacevolezza di poche cose che ho letto di recente.
Quanto avrei voluto leggerlo al liceo! È brillante, spiritoso, scorre come acqua fresca, e fa onestamente tanto tanto ridere, ma proprio di gusto.
Io non credo che qualche mia compagna di classe del liceo legga il mio blog, ma riesco ad immaginare i loro volti di fronte a me che rido di gusto quando si parla di fisica. Esterrefatti.
Lo sarebbe anche il professor Barbieri, il portatore originario dell'epiteto 'nano malefico' prima che Berlusconi entrasse nella mia vita da cittadina votante.

Breve storia di (quasi) tutto è il saggio da leggere se odiate i saggi, se non vi piacciono i polpettoni ma avete comunque uno sguardo curioso sul mondo.
Ah, e dice la verità su Einstein. acciocchè vi sia possibile umiliare pesantemente quelli che su facebook mettono foto improbabili con citazioni che il vecchio E. non ha mai fatto.

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