mercoledì 16 novembre 2016

#CiaoNetflix: L'altra faccia del diavolo

15:47
Voglio rivedere L'esorcista.
L'ho detto, sono seria.
Smettetela di ridere.
Rivederlo tutto, senza mani sugli occhi nè (soprattutto) orecchie tappate e LALALALALALA strillati per non sentire. L'audio negli horror è sempre stato il mio punto debolissimo. Il fatto che io poi abbia un bar da chiudere al buio, da sola, è ininfluente. Vero?
Comunque, sarà un lungo percorso quello che mi condurrà alla mia nemesi. Devo guardarli tutti, sti demoniaci di sto grandissimo cavolo, prima di tornare al capo supremo. È una missione, e ho giusto giusto una settimana di ferie davanti.
In mio soccorso interviene Lui, Netflix.
Mi propone L'altra faccia del diavolo.
Non mi interessa se dite tutti che fa schifo, la qualità non influisce sulla mia paura. Ho paura e basta, di tutti indistintamente. Sì, nonostante il mio ateismo, sì, nonostante il capostipite mangi in testa a tutti, sì, anche se mastico tanto horror.

In questo esemplare della razza dei demoniaci, famiglia dei mockumentary, la protagonista si chiama Isabella. Quando era bambina un tragico evento colpì la sua famiglia: sua madre Maria, mentre le veniva effettuato un esorcismo, uccise i sacerdoti e la suora che erano con lei. Vola a Roma, dove la madre si trova ricoverata in un istituto psichiatrico di gestione cattolica, e qui conosce due sacerdoti che forse possono aiutarla a fare chiarezza su ciò che realmente affligge Maria.

Mi piacerebbe risparmiarmi molti caratteri e sbrigarmi dicendo che è un brutto film, e tante care cose a tutti. Tanto il vero motivo per cui oggi scrivo un post è che sono in scodinzolante entusiasmo per la grafica nuova, sono certa che lo sapete tutti, potevo iniziare la mia maratona demoniaca nell'intimità silenziosa della mia cameretta. (Quella reale, non questa virtuale, ovviamente)
Visto però che il film si prende così tanto sul serio non vedo perché dovrei snobbarlo io.
Prendiamo sul serio ed andiamo ad illustrare con un elegante elenco a freccine (che la mia sfavillante nuova grafica mi permette di fare) tutte le cose che in L'altra faccia del diavolo non hanno alcun senso.

⇢ Sarebbe stato utile, a mio modestissimo avviso, un minimo di chiareza linguistica. In che nazione siamo? In che lingua parliamo? Siamo italiani che parlano inglese? Inglesi che parlano italiano? Se non altro garantisco che non c'è nessun italiano che parla in italiano (nella versione inglese del film, non so come sia stato doppiato ma sono più o meno certa chepeggio di così non si possa fare). Esempio ai fini dell'argomentazione: la scena del battesimo si è svolta in inglese. Allora, se per chiarezza del pubblico vogliamo far parlare tutti in inglese a me sta benissimo, ma un mix linguistico del genere è se non altro caotico.


⇢ Il personaggio di David. Vado come mio solito a spiegarmi.
Se hai fede ma non stimi la Chiesa a cui appartieni a me sta bene. Anzi, ammiro te che riesci ad essere distaccato dal ruolo che ti è imposto ma scegli di usare la tua testa. Bravo. Quindi prendi il tuo amico Ben e insieme fate esorcismi di nascosto dai vostri Capi per aiutare persone bisognose che non sono riconosciute come tali dai Capi suddetti. Benissimo, operazione lodevole.
Poi però arriva Isabella, e ti piglia la paura di essere scoperto e di perdere il lavoro e della SCOMUNICA, allora ti prendono i dubbi e non la vuoi aiutare. E lo dici mentre dietro di te campeggiano orgogliosi i file delle persone che già stati aiutando di nascosto dalla Chiesa stessa. Non capisco, David. Hai fatto 30 fai 31, no? La tua posizione è già poco vantaggiosa, tanto vale fare del bene.

⇢ Mock insensato. E badate che mi si spezza il cuore a dirlo, ché io se ho un guilty pleasure è proprio quello dei finti documentari. Parti per l'altra parte del mondo per scoprire cose su tua madre e ti porti un cameraman? Buttando peraltro ogni tanto qua e là come spiegazione un 'Sto facendo un documentario'? Ma a beneficio di chi lo stai facendo? Ti è stato commissionato? Lo vuoi mostrare ai nipotini quando sono grandi?

⇢ Le scene più iconiche del film (se di icone si può parlare) compaiono ciascuna per qualcosa come 7 secondi in media, e non hanno alcuna utilità ai fini della trama. Non parlo solo della suora dagli occhi spiritati di cui si parlava anche nella recensione de I 400 calci (che spero abbiate votato anche quest anno ai MIA come miglior sito di Cinema), ma mi viene anche in mente la posseduta contorsionista. Oltretutto, spiattellandomele in faccia con cadenza regolare me ne hai rovinato completamente l'impatto e il loro potere è stato del tutto rovinato. Peccato perché entrambe quelle che ho citato credo che presentate in un modo diverso mi avrebbero spaventato molto.


⇢ Guarda, Bell, sono italiana e cresciuta nel mondo cattolico, ti dico una cosa. Ammesso e non concesso che esista un corso sugli esorcismi, puoi stare tranquillo su una cosa: la Chiesa Cattolica non lo farebbe MAI pubblico. Stai scherzando?

⇢ Continuiamo sul filo della saggia Chiesa. Senti un po' cosa hai detto, Bell, e un saluto a chi ha concluso questo film senza accorgersi delle michiate che stavi facendo dire ai tuoi personaggi. In sintesi: il male ormai non si palesa più da solo, sta a covare dentro le persone. Ci vuole un esorcismo per smascherarlo. E quando lo si fa l'esorcismo, di grazia? Quando si può escludere con matematica certezza l'origine psichiatrica dei sintomi. Giustissimo, non fa una piega. E questa certezza matematica quando ce l'abbiamo? Quando il male si manifesta.
Cristallino.

⇢ Ben e David non brillano per Q.I., questo è piuttosto evidente. Infatti hanno luogo nel film una serie di interessanti contraddizioni, tali da balzare persino all'occhio miope della sottoscritta. Il ragionamento alla base delle loro azioni è il seguente: facciamo delle cose per il bene della comunità, perché crediamo in quello che facciamo, ma, consapevoli che questo non andrebbe a genio a chi sta sopra di noi, ci vediamo costretti a fare tutto di nascosto, che non se ne sappia niente percarità che rischiamo brutto.
Isabella e l'amico azzardano un timido: 'Possiamo portare la camera?' E ti aspetti vigorose risposte negative, sguardi di disapprovazione, gesti di rimprovero col ditino. E invece.
Non solo li si accompagna a vedere (inquadrando per bene anche i volti dei soggetti coinvolti) il lavoro segretissimo di cui parlavamo, ma li si porta addirittura a vedere un esorcismo vero, senza far firmare liberatorie a nessuno, senza manco chiedere il permesso alla madre della povera contorsionista col ciclo.
Ogni mio tentativo di comprensione è stato nullo.

⇢ Quella che più di tutte mi ha fatto incavolare, però, di quelle cose che ti fanno sbattere le mani sul divano invocando l'intervnto di divinità affinchè a certi personaggi vengano tolti i fondi per fare film, è la seguente: Isabella è dal medico curante della madre. Chiacchierano della paziente, fino a che si tocca lo spinoso tema della possessione. Il medico dice chiaramente, CHIARAMENTE, che quella demoniaca è un'ipotesi da escludersi, nonono, qua abbiamo una paziente psichiatrica e come tale la trattiamo. Tranquilla Isa, la mamma sta bene. È matta, ma se non altro è matta da sola.
Arrivano alla stanza della madre, a cui si giunge attraverso una prima porta a vetri per poi arrivare all'ingresso effettivo. Com'è la porta a vetri? Ricoperta di crocifissi.
Cosa mi stai dicendo, dottore?


Io raramente riconosco con chiarezza quale sia il problema in un film che non funziona. Dico genericamente che a me non è piaciuto e fine. Stavolta il gigantesco problema di scrittura è talmente palese da lasciamri sconcertatata. Ribadisco, avrei potuto chiudere il discorso in modo molto più rapido, ma niente mi avrebbe potuto privare della gioia di usare le freccine per la prima volta.

[Nota Personale: Erre non guardare sto film che c'è una notevole contorsionista e mi servi vivo almeno fino al 19. Grazie]

lunedì 7 novembre 2016

Non solo horror: In guerra per amore

10:05
Questo post non era previsto.
Ogni tanto però compaiono quei film che sono un inaspettato colpo di fulmine, e allora si butta giù qualcosa di getto sperando che 1) il tutto abbia un senso e 2) qualcuno in più magari leggendo qui si convinca ad andare in sala a dare a Pif i guadagni che merita.

In guerra per amore è la storia di uno squinternato e maldestro cameriere, che lavora a New York al servizio di una famiglia mafiosa. Ha la sventura di innamorarsi della nipote del suo capo, Flora, promessa già a Carmelo, rampollo della criminalità organizzata. Per poterla prendere in sposa ha bisogno del permesso del padre, che vive in Sicilia.
Ah, sì, siamo nel 1943.


Prima osservazione: io e R abbassavamo l'età media in sala di una buona decina d'anni.
Perché?
Io credevo, anima innocente, che Pif ai giovani piacesse. Il Testimone è quasi l'unica trasmissione televisiva che amo guardare, Le Iene sono popolarissime, le buffe pubblicità della TIM passano anche prima dei video su Youtube, dov'è il problema? Eppure in sala quasi solo persone di mezza età. Fortunatamente qualcuno aveva portato i figli, e a quei bambini avrei voluto mettere una mano sulla spalla per dichiarare solennemente la loro fortuna.
Ostilità dichiarata per quei genitori che portano i bambini a vedere solo animazione perché sì, senza notare quanto un film del genere sia arricchente. (E se arricchente non è ancora un termine della lingua italiana allora ce lo mettiamo noi.)
Si esce dalla sala più ricchi non solo di conoscenze, ma di buoni sentimenti (BUONI, non buonisti), di attenzione, di consapevolezza. Perché con il consueto tono favolistico con cui Diliberto ci ha raccontato il mondo fin da quando telecamerina a spalla girava a fare Il Testimone, questa volta ci ha accompagnato in guerra, e ci ha fatto vedere che se vogliamo spazzare via lo sporco dobbiamo macchiarci anche noi, e spesso non sappiamo quanto ci vorrà a far venire le macchie. Per conquistare anche i bambini, che per loro fortuna credono ancora che la sigla DC in Italia riguardi solo i fumetti, ci sono colori sgargianti, la bellezza straordinaria della Sicilia, musica carinissima e un tono leggero e onestamente molto divertente.


Avevo visto solo il trailer del film, avevo come mio solito evitato articoli e recensioni per arrivare neutra in sala, quindi non avevo idea di che taglio avrebbe preso il film nella seconda parte. Perché sì, In guerra per amore è una storia d'amore, ma parla di tanti amori diversi. La propria donna, la patria, la terra d'origine, la pace, l'amico, il figlio, il collega. Ma anche amore per il denaro e, soprattutto, per il potere. Commuove sinceramente senza ricercarlo, con la naturalezza di chi questo buon cuore ce l'ha davvero e non deve affatto sforzarsi di tirarlo fuori. È dolce ma mai stucchevole, o col cavolo che sarei qua a parlarne, è delicato e preziosissimo, si fa voler bene dalla prima scena.
Poi arriva la fine, con un carico di amarezza sul groppone. Quando io e la mia amica Elena parliamo di Harry Potter, cioè un giorno sì e l'altro anche, finiamo sempre a dirci che quello che funziona del settimo volume e quindi della conclusione della saga, è l'estremo realismo con cui la guerra è trattata. La guerra fa parte dell'umanità, ma fa schifo, e il prezzo da pagare per giungerne ad una conclusione è sempre altissimo. Ad Hogwarts si parlava di vite spezzate, qua si parla di altro, ma il punto è sempre quello: anche se l'obiettivo è parlare di una storia che finisce bene non bisogna mai trascurare il fatto che si sia parlato di guerra, e che non finisce MAI bene per davvero. Pif lo sa, è nato a Palermo.


Andate IN SALA a vedere questo film, dategliela questa decina di euro a Pierfrancesco Diliberto e a tutte le persone che con lui hanno collaborato per creare un piccolo gioiello di cinema italiano. Lui vedrà riconosciuti i suoi meriti, e dio solo sa quanto c'è bisogno che un talento venga apprezzato soprattutto da noi, e voi, oltre ad un bel ripassino di storia del nostro paese (e NE ABBIAMO TUTTI BISOGNO), ne riceverete tanta bellezza in cambio.

sabato 5 novembre 2016

Non solo cinema: Stoner

13:31
John Williams è il più famoso tra gli scrittori sconosciuti, e Stoner è il più bel romanzo che non avete mai letto.
No, non è la mia presunzione a parlare e a dedurre che voi non abbiate mai letto Stoner, quella sopra è la frase che dicono tuttituttitutti quando parlano di questo romanzo, e mi sembrava un buon modo per iniziare il primo post su Williams. Spoiler: non sarà l'unico, perché è sbocciato in me il seme dell'amore.

La prima notabile cosa del signor autore è che tutti i suoi romanzi hanno copertine bellissime, di quelle che ti fanno scegliere un libro in libreria senza saperne niente. A voi una rapida carrellata:





Amici di Fazi: Bravi.

Torniamo al romanzo che al momento occupa i miei pensieri in modo costante.
Stoner è il cognome di un uomo, che di nome fa William. È un uomo come molti. Lascia la poverissima famiglia di contadini per studiare Agraria all'università, sperando di portare un valore aggiunto al lavoro di famiglia, ma gli viene fatto notare da un illuminato professore di avere in realtà la passione per l'insegnamento. E con la trama la chiudiamo qua, anche se sono convinta che raccontarvela non toglierà nemmeno un briciolo di valore all'incantevole libro che spero abbiate già tra le mani.

Cosa distingue William Stoner dagli altri uomini? Niente. È l'emblema della mediocrità, della vita che ci si aspetta da un uomo comune. Fa il percorso che i genitori vogliono da noi figli: studia, e intanto lavora ché è un uomo responsabile e si mantiene, conosce una ragazza, la sposa, mantiene il lavoro per tutta la vita.
Ho iniziato a piangere a pagina due e vorrei, VORREI, che questa fosse una delle solite esagerazioni di cui il mio linguaggio è pieno. Vi sia chiaro, però, che a Williams non interessa contare le vostre lacrime, e che di certo il suo interesse principale non è commuovere. E se lo è, (in quel caso gli augurerei le peggiori notti sul water), lo nasconde molto bene.
Cosa commuove così tanto nella banale storia di Stoner?
Credo che nelle sue poche pagine, è un romanzo che si legge in tre/quattro giorni. anche meno se siete presi quanto lo ero io, dia spazio ad ogni lettore per trovare quel quid che colpisce forte e fa un po' male. Il mio, ormai lo sapete, sono le storie familiari. I genitori di William sono persone poverissime, che vivono del loro lavoro nei campi e che non hanno alcuna pretesa. Le scene, che sono nelle prime pagine e quindi non sono un'anticipazione, in cui i genitori spendono i pochissimi risparmi della famiglia per comprare vestiti nuovi per partecipare alla laurea del figlio, o quella in cui, completamente fuori luogo, arrivano all'università, mi hanno stretto lo stomaco. E vi ci vedo a chiedermi se questa commozione fosse data dalla dolceamara descrizione dei sacrifici che i parenti fanno per gli adoratissimi figlioli. NO, non lo è. Nessuna descrizione del profondo sentimento di amore che ti spinge a privarti del pane pur di vedere l'erede avere tutto quello di cui abbisogna. Ad onor del vero, nessuna descrizione di alcun sentimento. Quasi mai. Va da sè che le poche emozioni esposte mi hanno devastata. Per la maggior parte del tempo non abbiamo accesso nè alla sua mente nè al suo cuore, poi succede che ogni tanto questa nebbia si spanna e ci è data un po' di visibilità, che colpisce forte.

Insomma, il giovane Stoner si laurea. Non in quello che la famiglia desidera, ma si laurea. Inizia il futuro radioso del giovane professore appassionato? Eh, insomma. La vita personale va male, quella professionale a rilento. E lui, William, sta lì, a guardare la sua vita scorrere senza mai prendere il volo, e lui la lascia fare.
Quanto mi sono arrabbiata, con quel Willy che avrei tanto voluto vedere felice.
Non credo certo nelle idilliache vite delle pubblicità, ma una gioia UNA gliel'avrei voluta donare. Un lavoro gratificante, un amore vero, una fonte di soddisfazione. Eppure lui, porca miseria, non fa niente per andarsele a prendere, eh, le gioie. Si accomoda in questa vita che gli è stata donata, così come gli è stata donata, e l'ha vissuta senza provare a migliorare alcunché. Ogni cosa successa gli è piovuta dal cielo, gli è stata suggerita, incoraggiata, consigliata. Ma lui, di suo, niente. Accomodato in un'esistenza mediocre.
Perché?
Perché ci fa paura concederci la possibilità di provare ad essere felici? Perché la comodità ci blocca così tanto, perché uscire dalla comfort zone fa così paura? Perché la mediocrità è così confortevole?
Mi tocca dirvi che Williams non conclude il romanzo con una gran morale che dà tutte le risposte.
E forse meglio così.

Sapevo che sarebbe stato bello, voci che considero autorevoli me ne avevano parlato in modo estasiato. Se possibile, lo è stato ancora più di quanto mi sarei aspettata.

giovedì 27 ottobre 2016

I film che farei vedere per Halloween ai miei amici se solo me lo permettessero

18:09
Io esco con un gruppo ristretto di persone. Quando si è così pochi si smette di essere solo amici, queste persone sono la mia famiglia. I brutti ceffi in questione rispondono ai nomi di: Riccardo, il sempre citato amorone, Elena, la mia partner in crime e decennale migliore amica, Alessandro, il complice di una vita (vorrei davvero potervelo mostrare mentre veste i panni di Virginia Raffaele), Tobia, l'amico scemo, Alessio, l'amico silenzioso, Irene, la di lui sorella e nostra amica. Nessuno, a parte chi scrive, che guardi gli stessi film che piacciono a me, quindi scelgo di portarli con me in una carrellata di cose che si avvicinano all'orrore come lo intendo io a me, ma senza entrare con le mani nelle budella delle persone. Va beh che Alessandro è un farmacista, ma se sta male anche lui siamo fregati tutti.

Inizia la serata, magari abbiamo appena mangiato una pizza, ci immagino come al solito a casa di Alessandro che dispone di a) grande televisore b) camino c) divani di una comodità illegale. Voglio partire con qualcosa di noto, magari per canticchiare davanti alla tv. Ci vuole lui: The Nightmare Before Christmas. 


Sarà anche ufficialmente un film di Natale, ma nel mio regno fatato, la Redrumia, lo proiettiamo dal giorno di Halloween fino a Natale con cadenza settimanale. E, a dispetto del mio snobismo verso i doppiaggi, questo si guarda in italiano perché Renatone Zero lo si ama con passione ardente. Alessandro, mio fedelissimo compagno di indimenticabili duetti, sarà di fianco a me a sostenermi nel canto. Mani sul cuore a cantare con voce struggente di bambini nella neve che giocano così, nessuno è solo e poi non c'è mai tristezza qui.


Alla fine, ancora col fiatone per la cantata a squarciagola, ci vogliono ancora un po' di risate: Shaun of the dead. 


Io lo so che i cinefili seri quando tirano fuori le horror comedy partono con L'armata delle tenebre, e c'hanno ragione c'hanno, ma sapete che non è la mia preferita, perché da quando ho conosciuto Shaun, niente è più stato lo stesso. Ci sono anche i Queen, e io e le personcine in mia compagnia abbiamo una storica passione per i Queen. Ci sono prove audio a testimonianza di ciò, e il solo pensiero che queste prove diventino di pubblico dominio mi tiene sveglia la notte. Oltretutto, le risate che mi ha fatto fare sono state le più sincere. Genuinamente divertentissimo.
A Erre piacerebbe di sicuro, ma ho il dubbio l'abbia visto, e credo piacerebbe anche a Tobia, ma confido si sia addormentato a metà del primo film.

Non si può ridere per sempre, però. Cerchiamo di andare dalle parti di qualcosina di serio ma di non impegnativo: Crimson Peak.


Abbiamo avuto mostri, scheletri e zombie, ora tocca ai miei preferiti, i fantasmi.
Appurato che in un modo o in un altro Del Toro in questa carrellata ci sarebbe entrato a costo di infilarcelo dentro a spintoni, voglio farlo con i fantasmi, con Tom Hiddleston acciocché io e la Elena, sue discrete ammiratrici, abbiamo anche qualcosa d'altro da ammirare oltre all'indiscutibile bellezza del film. Scenari e colori incantevoli, splendide case vittoriane abbandonate, amori dolori, Crimson Peak ha tutto quello che serve per piacermi, punto e basta. E merita di essere visto anche da loro. Avrei messo il Fauno, eh, ma mi hanno promesso che lo vedremo insieme un giorno di questi. (The North Remembers).

Siccome lasciare fuori Sam mi spezzava il cuore, inseriamoci un Raimi: Drag me to hell.


Divertente e disgustoso, pagherei ORO per fotografare le loro facce in un paio di scene e soprattutto nel finale. La faccia che Erre ha fatto quando l'ha visto è stata impagabile. Piccole gioie del cinema.
Per l'esperimento 'Voglio vedere come reagiscono al finale' avrei scelto Musaranas, ma non voglio che smettano di rivolgermi la parola, un po' ci tengo. Lo so che ho detto che non voglio che entrino nelle budella delle persone, e infatti scelgo livelli di tensione minimi, ma è pur sempre Halloween.

Io mal tollero quasi tutti i cartoni animati, Alessandro li ama, perché noi opposti sempre. Per venirci incontro il modo è solo uno: Paranorman.



Eh, questo è amore. Voglio a Norman un bene dell'anima e voglio che gliene voglia (letto tre volte al contrario allo specchio e la voglia esce a voi, in faccia) tutto il mondo. Simpatico da morire.

E ora li immagino tutti sereni, perché ho scelto solo cose che non fanno paura, quasi tutte divertenti, leggerine, una cosa lieve. Però una cosinaina per lasciarli dormire un po' peggio non ce la vuoi mettere, in conclusione di serata? Non vuoi spaventarli neanche un po', sti cristiani? Neanche una cosina con i mostri di quelle che saltelli un bel po' sul divano?
E allora The Descent sia.



E sogni d'oro a tutti. 
<3

martedì 25 ottobre 2016

Incontri ravvicinati del terzo tipo

14:53
Me ne frega qualcosa di alieni? No.
Me ne frega qualcosa di Spielberg? No.
Quindi che film guardo?
Incontri ravvicinati del terzo tipo.
Chiaro.

Roy è un elettricista, Jillian la madre di un bambino tra i più belli che io abbia mai visto in un film. Insieme ad altre persone assistono a strani fenomeni in cielo, e capiscono che si tratta di alieni. La loro curiosità non viene affatto soddisfatta dalle autorità,e toccherà a loro andare a fondo.


Io non lo so cosa mi sia venuto in mente, perché se oggi penso a me che guardo un film di millecinquecento ore (va beh, sono due abbondanti, ci siamo capiti) che parla di astronavi con le lucine mi viene da ridere. Non è la mia cup of tea, e capisco che in effetti verrebbe da chiedere quale sia, la mia cup of tea, dato che non mi piace quasi niente.
Come mi era già successo guardando Pacific Rim, però, ho provato ad uscire dalla mia adorata comfort zone, e a buttarmi su qualcosa di fuori dai miei canoni. Come con Pacific Rim, ne è valsa la pena.

La curiosità è una di quelle caratteristiche che mi fa piacere le persone. Figuratevi quindi come mi è piaciuto Ray. Avrebbe potuto archiviare tutti i folli eventi che gli sono capitati sotto l'etichetta 'eh va beh avevo sonno' oppure 'forse dovevo bere un pochino di meno'. E invece no. Lui si è fissato che gli alieni stanno arrivando e ne vuole sapere sempre di più, lui e quella sua esilarante faccia mezza scottata.
Come spesso mi capita, non avevo letto niente al riguardo, volutamente. So di essere molto influenzabile e non volevo essere una di quelle per cui Incontri ravvicinati è bello perché sì. Non sapevo se aspettarmi uno di quei film in cui gli alieni sono brutti e cattivi e ci vogliono morti, e speravo di no perché l'ultima volta che ne ho visto uno è stato quella pagliacciata de Il quarto tipo e non volevo ripetere l'esperienza. Avevo anche paura che fosse uno dei film pieni di buoni sentimenti di SS, che a me in generale non soddisfano e fanno un po' sbuffare.
Effettivamente, è stato questo il caso.
La differenza è stata nel modo in cui ai buoni sentimenti si è arrivati, perché poco prima un bambino era stato rapito e va bene tutto ma di buono non ce n'è nemmeno l'ombra.


Riesco tranquillamente a vedere i bambini degli anni 80 a fremere dall'eccitazione per questo film, e questo non può che essere un complimento. La scena dell'arrivo della nave madre (si dice così? Riccardo invoco il tuo aiuto) è incredibile, da bocca spalancata. E mi immaginavo milioni di bambini così, con le manine incollate allo specchio ad ammirare le luci e l'enormità della nave, e secondo me questo è sinonimo di successo spaventoso. Perché prima è stato brutto, e spaventoso (sappiamo per esperienza che i papà che perdono la testa ci fanno paura), poi però è diventata magia.

Non se se arriverà il giorno in cui film come questo mi faranno gridare al miracolo. L'altro giorno, però, mi sono molto divertita, mi sono lasciata di nuovo andare all'inaspettato e non esiste esperienza migliore.

martedì 18 ottobre 2016

Un lupo mannaro americano a Londra

12:07
Ah, i film iconici.
Tutti li hanno visti, tutti sanno di cosa si tratti, tutti li amano.
Io me la faccio sotto perché generalmente le cose cariche di aspettative mi mettono soggezione. Il mio percorso nel mondo dei film non è per niente lineare, guardo cose senza alcuna logica, nè seguendo il filone del 'questo è storico e va visto per forza', tanto è vero che centinaia di film cult non li ho mai visti e li guardo se e quando mi viene voglia.
Qualche giorno fa me ne è venuta voglia.
Come al solito, poi, mi è venuta voglia di parlarne e di conseguenza ho iniziato a farmela sotto ché parlare di cose Grandi e Importanti sul web spaventa sempre un po'.

Per chi, come me, è caduto ora sulla Terra, ecco chi è il lupo mannaro americano a Londra: è un giovane, capitato nella brughiera inglese per una vacanza con un amico, che ha uno sfortunato incontro con un licantropo. La sfortuna non è tanto quella di averlo incontrato, quanto piuttosto il fatto di essere sopravvissuto all'attacco.


Non ho mai subito in modo particolare il fascino degli uomini lupo, ma c'è un aspetto che li rende sempre molto interessanti: la colpa. I licantropi sono spesso torturati dal proprio 'dono', il senso di colpa è devastante, come se peraltro loro avessero davvero una qualche responsabilità.
Remus Lupin, da sempre uno dei miei personaggi preferiti dell'universo Harry Potter, ha rischiato di perdere l'amore della sua vita, perchè si ostinava a impedire la nascita di una relazione con l'adorata (anche da me) Ninfadora, a causa della sua natura. Come se tentativi di protezione dell'amata servissero a qualcosa. Se ormai ti amo sono già fregata, bello, ti conviene rassegnarti.
(Sì, la maggior parte dei miei riferimenti sono sempre ad Harry Potter. Confido che ci siate abituati.)
E così il povero David, come se tutta la vicenda fosse stata per lui una passeggiata, si ritrova in uno squallido cinema a luci rosse, circondato dalle anime di chi aveva perso la vita per mano sua. Tremendo. Non stupisce che poi si lanci a Piccadilly Circus disperato, cercando di porre rimedio all'irrimediabile.

Onestamente, non credevo che il film di Landis mi sarebbe piaciuto, un po' per disinteresse generale verso il tema, un po' perché non mi aveva mai ispirato particolarmente. È stato piacevole, per l'ennesima volta, essere smentita. Il film è di una leggerezza completamente inaspettata, per me che non ne avevo mai nemmeno letto un post a riguardo, o un articolo, e riesce con una grazia piacevolissima a passare da momenti davvero divertenti (senza pai passare per quel passaggio sgradevole in cui percepisci che si stanno tutti sforzando un casino di farti ridere) a momenti di reale sgomento. So che tutti amano la scena della metropolitana (adesso i post a riguardo li ho letti), ma a me sono state le visioni in ospedale a colpire di più, insieme alle varie comparsate del compianto Jack, di volta in volta più malmesso. Vedere l'amico perduto, con le sue nefaste profezie, non è stato proprio esattamente piacevole.


Come al solito, il cinema mi insegna che mettere da parte il mio snobismo non può che essere una buona idea. Aprire la mente all'inaspettato riesce ad essere una sorpresa continua. Non dico che da oggi il lupo mannaro americano sarà uno dei preferiti, non è così nonostante ne riconosca l'indubbia importanza, ma la simpatia che mi ha fatto è stata piacevolissima.


NB per il mio amicone Alessandro: Doc, sono QUESTI i lupi mannari che devi guardare! <3


domenica 9 ottobre 2016

Maripensiero: Guillermo Del Toro

14:04


Il Cinema è una di quelle cose, come l'arte in genere o i profumi, per esempio, che segnano le fasi della vita, sia di chi se ne dichiara grande appassionato sia di chi lo vive come un semplice svago. Non è un caso se da adulti ci ricordiamo ancora le canzoni dei film che guardavamo da piccoli.
(Garantisco che se li ricorda anche chi di cinema se ne frega, avrei qualche amico da citare ma confido che chi di dovere si riconosca!)

Una nuova, diversa, fase della mia vita è iniziata quando ho visto il mio primo film di Del Toro, quell'omone dal viso incredibilmente simpatico che oggi compie 52 anni. Una fase molto recente, eh, questo non è un amore che dura da una vita. È iniziata così: io e Riccardo abbiamo il nostro personalissimo cineforum, che ha sede sulla sua auto ogni volta che torniamo dal cinema. Un giorno mi dice che secondo lui mi piacerebbe tantissimo Il labirinto del fauno. Lo conosco solo di fama, mai visto. Riccardo, però, ha totale accesso alla mia mente, se vede una cosa sa immediatamente quale sarebbe la mia reazione a riguardo. Se mi dice di vedere il Fauno, quindi, io lo guardo. E la mia vita cambia.
(Credo di non averti mai detto che è tutto merito tuo. Grazie.)

A lui non è piaciuto granché, dice. Io lo so il perché. Non è vero che non gli è piaciuto, è solo troppo ferito. Io ci ho messo giorni a riprendermi, e ancora adesso vedere Ofelia mi lascia un macigno sul cuore. Esiste una recensione, qui sul blog, che ai tempi era piaciuta e che io ora mi vergogno a rileggere perché la odio. La strapperei, ma nessun post è mai stato cancellato dall'universo redroomiano e non inizierò certo ora. 
A film finito ho pensato che allora una dimensione adatta a me ESISTEVA. Solo che non l'avevo ancora trovata. Un mondo in cui la magia esiste, ma senza le bacchette magiche, in cui i colori non erano solo lì perché ci erano capitati, ma perché qualcuno ci stava giocando, in cui la mente e la fantasia sono IMPORTANTI, e non capricci di un bambino. 
Ho pianto fino a sentire i dolori alla pancia, la prima volta che ho visto un film di Del Toro, e se ad una persona sana questo può far dire 'Ok io di questo non vedo più niente' a me ha fatto dire 'Non voglio altro che questo'.

Palesato il mio entusiasmo a Riccardo, mi sento dire che è il turno di Hellboy.
Uououo, calma, che a me i supereroi stanno tendenzialmente sulle balle. 
'Ma no, fidati, guarda che è una cosa diversa.'
E nella mia vita entra anche un coso rosso molto grande con il sigaro e i gattini. 
Dopo di lui ci sono stati altri bambini, con i loro fantasmi reali o metaforici, vampiri, uomini pesce, generali, robottoni giganti, amanti sofferenti.
È troppo facile dire che i film di Del Toro sono belli. Lo sono, fine del post e ciaone con la manina. Lo sapete che non sono una tecnica, se volete che vi dica quanto e perché sia un bravo regista non è qui che dovete rivolgervi. Ricordo un post di Lucia in cui parlava di quanto fossero ben girate le scene d'azione di Pacific Rim, cercate lì, che io non ci capisco un cazzo.

Quello che a me ha lasciato interdetta è il filtro straordinario attraverso cui le persone come Del Toro interpretano il mondo. Lo stesso mondo che vedo io. Le stesse foglie degli alberi, le stesse risate dei bambini, le stesse notizie al tg. Vive come me, mangia come me (forse un po' di più, ma niente body shaming), suppongo espleti anche le mie stesse funzioni corporee. Eppure sembra che sia stato dotato di qualcosa che ai comuni mortali non è stato consegnato. Una mente incredibile grazie alla quale quella che io vedo come una bambina per lui diventa una principessa strappata al suo regno. È strabiliante. 
La Mari di qualche tempo fa avrebbe provato invidia per questo superpotere: quello di rendere magico il mondo. Oggi, sebbene non neghi che avere il cervello di questo signore non mi dispiacerebbe per niente, sono grata che ce l'abbia lui. Grata di essere nata in un'epoca in cui posso andare al cinema a vedere che cosa la sua mente stavolta ha fabbricato. Grata di poter accendere il pc, e di permettere ad un universo nuovo di entrarmi dentro e di rendermi un po' migliore, ogni volta.
Un po' più sensibile, un po' più aperta alle storie di chi mi circonda, un po' più umana, perché è proprio il fantastico, quando è così, che ti fa amare ancora di più la realtà.
Le persone come Del Toro (insieme a lui mi viene in mente il solito Neil Gaiman, per esempio) mi fanno credere che allora il problema non è il mondo, il problema sono io. Il mondo non è grigio, o triste, o monotono, o banale. Sono io che quando guardo un albero vedo solo un tronco con delle foglie, loro mi stanno insegnando ad aprire bene gli occhi, quelli che stanno dentro al cervello, perché dentro l'albero ci sta Doug Jones, e non è mica colpa sua se io non l'ho visto. 
Perché i segni del passaggio della principessa sulla terra sono visibili solo agli occhi di chi sa guardare, e dio solo sa quanto sono grata a Guillermo Del Toro per avermi insegnato a farlo.



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