lunedì 16 gennaio 2017

#CiaoNetflix: Sherlock s4e3 - The final problem

21:15
Oggi niente post sull'orrore. Oggi è il giorno in cui Sherlock finisce, e non esiste che si parli di altro.
Chiedo scusa per la monotonia recente del blog, ma capirete che ho aspettato 3 benedecti anni per questi episodi. Questo, un altro post sull'argomento che esce sabato e poi, davvero, è finita.
Qui sul blog, almeno, chè nella mia testa c'è materiale per i prossimi sei mesi.
E poi inizieranno revisioni, maratone, ricerche su tumblr, lacrime...


OVVIAMENTE DICO TUTTO E CREDETEMI CHE NON VOLETE SPOILER.

Ci siamo lasciati con uno sparo e una rivelazione gigantesca: la terapista di John era in realtà Eurus, sorella degli Holmes completamente rimossa dai ricordi di Sherlock a causa di un grande, gigantesco trauma. Eurus era imprigionata nel carcere di massima sicurezza di Sherrinford (che evidentemente non era il terzo fratello come tutti sospettavamo), ma l'abbiamo vista fuori, nel secondo episodio.

L'inizio mi aveva spaventato: non mi stava piacendo per niente. La sceneggiata a casa di Mycroft per farlo confessare e fargli sputare la realtà sulla sorella mi aveva un po' messo su il grugno insoddisfatto, ma John mi ha rimessa cheta cheta in un angolino, sfoderando la battutona fan service che ho amato perchè SONO UNA FANGIRL OK?

There's a place for people like you, the desperate, the terrified, the ones with nowhere else to run.  221B Baker Street.
E io lì a fare la ola sul divano, estasiata. Il fatto che si vivesse la questione della sorella ricomparsa con grande leggerezza mi aveva confusa, ma non rispondo dei miei sentimenti.
Mycroft, quindi, diventa cliente. Sottopone la sua storia alla coppia e la trasforma in un caso. Non è la prima volta che membri della famiglia vengono declassati a clienti, ogni volta che ripenso a His last vow e rivedo John indicare la sedia a Mary mi sento lo stomaco sussultare.
Ora, non so bene che opinione avere sul fatto che Sherlock abbia completamente rimosso la sorella, non so quanto sia scientificamente possibile e non so se mi interessa, perchè voglio mantenere inalterata la mia sospensione dell'incredulità, e perchè chi si ricorda dei casi canonici sa che la logica rigidissima non è sempre stata la regola.
Facciamo l'indiretta conoscenza di Eurus bambina attraverso i ricordi che iniziano a farsi spazio e a tornare (bellissima la bambina e adorabile che Mycroft sia cicciotto come il Mycroft grasso del mind palace di Sherlock) e la sorella si palesa subito come estremamente brillante, la migliore dei tre, ma pericolosa. Proprio mentre si chiarisce che Eurus non può essere scappata, ecco che un drone con una granata entra nel 221B.
Quello che c'è ora è uno degli scambi più belli dell'episodio: i tre uomini sono immobili, in cerchio, e parlano con i volti immobili. Il dialogo tra i fratelli è splendido, e l'interferenza di Watson è leggera e adeguata. Il 'good luck boys' di Sherlock è carinissimo e stringe il cuore. Cumberbatch è quasi un ventriloquo, perdio. È in questa scena che, finalmente, si inizia la rivalutazione di Mycroft. Amiamo Sherlock e Watson dall'inizio perchè sì, la serie è la loro. Mary arriva e si fa amare dalla prima comparsa. Mrs Hudson ha un cambio tardivo ma ormai inesorabile (scena dell'aspirapolvere, che ve lo dico a fare), mancava giusto Mycroft. Bravissimo Gatiss (a quanto pare più a recitare che a scrivere) e meravigliose tutte le sue scene in questo ultimo episodio. Umano, passibile di errore, molto più sentimentale di quanto ci sia mai stato detto.
Questo mette una pietra sopra al cinismo: abbiamo salvato Sherlock, ammesso che ci fosse qualcosa da salvare, ora è toccato a Mycroft. Noi sentimentali abbiamo il controllo del mondo e dalla nostra parte ci sono le menti più geniali del pianeta. Non c'è niente che possiate fare per fermarci.

Proseguiamo con l'episodio, e altri due mostri sacri fanno la loro comparsa: Eurus e Moriarty.
Di Moriarty voglio uno spin off. PAZZESCO. Entrata in scena, occhialetti, movenze, voce. È un figo incredibile e ha lasciato un segno enorme nell'episodio. E sì, c'entra anche il mio problema con i Queen.
Eurus, finalmente.
Imo, stupenda pure lei. Inquietante al punto giusto, disperatamente commovente poi, un ingresso in scena fulmineo. Redbeard ci ha accompagnato fin dalla prima stagione e ora che è diventato un qualcosa di reale è stato una palata in testa, anche se le teorie del web avevano ipotizzato qualcosa. Diventiamo tutti peggio dei complottisti pentastellati quando si parla di sto telefilm.
Dolcissima la carezzina sul capo finale, che sembra tanto messa lì a strappare lacrime apposta, ma che con me ha funzionato al 100% e che fa subodorare che i rumors avessero ragione: niente s5.
Onestamente se finisse così andrebbe bene.
Non ho trovato questo episodio al pari di altri, perchè questa serie ha toccato picchi esplosivi, di pura elegantissima perfezione. Alcune cose non mi sono affatto piaciute (la reazione dei genitori Holmes alla scoperta che la figlia era viva? tremenda e recitata con i piedi), altre mi sono entrate dentro e resteranno nel mio cervello a macerare a lungo, come è sempre stato.
Ora Sherlock è finito, forse per sempre. Ogni volta che finisce un prodotto di finzione così potente è un colpo al cuore, la nostalgia è reale io credo che sentirò la mancanza di questi due molto a lungo. È una serie invasiva e invadente, entra nel cervello e nei sentimenti e ci resta per settimane, monopolizzando i pensieri. Ma è un monopolio straordinario.

Vi lascio qui la sigla, per tornare a sentirla quando avrete voglia di un sorrisino con stretta allo stomaco.



Se non avete mai visto Sherlock fatevi questo immenso regalo.
Buona fortuna per i vostri sentimenti.
I miei sono già perduti.

sabato 14 gennaio 2017

#CiaoNetflix: Indiana Jones e i predatori dell'arca perduta

17:33
Se voglio che Erre mi accompagni al cinema fino all'uscita (credo imminente) di The conjuring 37 devo anche io guardarmi il suo cinema ogni tanto, quindi, complice il sempre amatissimo Netflix, è stata la volta di Indiana Jones. Ho avuto di recente la preoccupazione di doverlo consolare per la dipartita della Sua Principessa, non voglio nemmeno provare ad immaginare il giorno in cui dovrò dirgli che Harrison Ford ci ha lasciati. Capace che si toglie la vita.

Un invito per le donne all'ascolto
Indiana Jones è un archeologo che a tempo perso va in giro per il mondo a recuperare tesori perduti. Per questo motivo viene assoldato dall'intelligence, che gli chiede di recuperare l'Arca dell'Alleanza, che è nel mirino dei nazisti, e niente finisce bene se ci sono di mezzo i nazisti.

Se siete capaci di trovarmi un bambino che da piccolo non voleva fare l'archeologo vi pago una birra. Ma di quelle sottomarca dell'eurospin che sono povera.
È una fase attraverso la quale per qualche motivo siamo passati tutti, c'è qualcosa nello scavare per terra e trovare cocci d'argilla che ci ha affascinati tutti.
Ah, no, che scema. Dei cocci d'argilla non è mai fregato niente a nessuno, noi volevamo scavare e trovare tesori impolverati, volevamo misteri sulle antiche civiltà (preferibilmente gli egizi che erano i preferiti di tutti, anche se la faccenda era geograficamente impossibile), volevamo stare nel fango fino al collo per poi estrarre come per magia il dente di un dinosauro o un antico medaglione dorato che nascondeva una maledizione.
Suona familiare? Perchè a me sembra che Indiana Jones sia esattamente quello che tutti avremmo voluto essere da piccoli. Vai poi tu a spiegare in giro perchè ha fatto soldi a palate, a me pare palese.
Ah, sì, poi c'è anche il fatto che sia un film d'avventura pazzesco, in grado di piacere anche a me, che guardo film in cui i personaggi sono lenti come la quaresima (zombie, fantasmi, villain degli slasher...tutti LENTI). Ho riso come una dannata.
Indiana è uno sbruffoncello pieno di cultura (l'uomo ideale? non mi sento di dissentire), bello da matti, che va in giro per luoghi tropicali a recuperare tesori nascosti e misteriosi, forse un po' paranormali.
Rileggete la frase sopra e ditemi se non è la definizione perfetta del film PER TUTTI.
Bambini avventurosi e bambine altrettanto, persone romantiche e sognanti e gente che ama i cazzotti, ricercatori di violenza, partigiani, amanti del mistero, appassionati dell'ironia intelligente e persone che, molto semplicemente, vogliono un film passatempo che intrattenga davvero. A costo di ripetermi, dirò di nuovo quello che penso di Lucas e che ho già detto parlando di Star Wars: ha capito esattamente cosa vogliamo quando entriamo al cinema, cosa ci serve per ricordarci che va bene fare i radical chic di stoc., io per prima, ma che ogni tanto ci servono le botte da orbi e le grasse risate e i bauli dorati con dentro un gran tesoro. Non solo ci servono, le bramiamo. 
E se bisogna farlo, bisogna farlo bene, quindi ok l'avventura divertente, ma che sia fatta come dio comanda.
Infatti eccoci qua, più di 35 anni dopo.
Funziona.

giovedì 12 gennaio 2017

Non solo cinema: Le ragazze

14:36
Casco sempre, SEMPRE, nelle fissazioni del web. A settembre è uscito Le ragazze, romanzo d'esordio di Emma Cline ispirato alle vicende che hanno coinvolto la setta di Charles Manson nel 1969. Omicidio di Sharon Tate e tutto il resto. Il mondo grida al miracolo, io mi metto in coda nella media library online (ne parliamo presto in un post) e finisco per leggerlo solo ora, a gennaio.
È davvero una bomba come dice l'internet?
Sì.


Protagonista è Evie, una quattordicenne come mille altre. Ha una sola amica, una cotta per il fratello maggiore di lei, due genitori troppo presi dalle proprie vite per badare a lei come si deve. È, insomma, sola come un cane. Quando al parco incontra un gruppo di ragazze ne resta affascinata, al punto da cercare il modo di diventare una di loro. Una, in particolare, la colpisce: Suzanne. Sarà Suzanne il suo punto di riferimento principale all'interno della setta in cui Evie sta inconsapevolmente finendo. Guru di questa comune è Russell.

Venivo da un periodo di grosso blocco letterario: un po' il mio turno di mattina al lavoro mi fa crollare dalla sonno ad orari da ospizio Mariuccia, ma soprattutto provengo dalla delusione cocente di un Williams che non mi è piaciuto. (Nulla solo la notte.) No, non sono pronta a parlarne. Iniziavo libri e poi li abbandonavo di fianco al mio letto, ignorati e miserabili. Poi, la Cline è arrivata e mi ha fulminato. Le ragazze me lo sono divorato in due giorni. È una storia scritta in modo leggerissimo, senza fronzoli nè ricerche stilistiche particolari, che scorre rapidissima, riuscendo però a non essere nemmeno una fredda documentazione. Ci è raccontato l'interno agghiacciante di una setta, e la realtà è già talmente dura che gli aggettivi e gli avverbi sarebbero superflui.
Evie è giovanissima, io a 14 anni sapevo a malapena le mie generalità, e si trova sola: i genitori sono uno altrove con la nuova fiamma e l'altra troppo concentrata a riprendersi dal divorzio, la sua migliore e unica amica l'ha piantata in asso e il suo solo interesse sembrano essere quelle ragazze incontrate al parco. Con una scusa le avvicina, e inizia a frequentarle. Loro la portano in un ranch, in cui vivono con altre persone, all'insegna della condivisione, del contatto con la natura, della liberazione dai problemi, dall'indipendenza dalle dinamiche della società. Guru di questa comune è Russell, aspirante cantante di successo.

L'esplorazione della Cline delle dinamiche interne alla setta è superba. Le ragazze che all'inizio appaiono agli occhi di Evie (che,ricordiamolo, ha solo 14 anni) come estremamente libere e attraenti, il ranch inizialmente perfetta definizione del sogno di ogni adolescente. Il vero punto forte del romanzo è che dimostra perfettamente quanto sia facile cadere in tranelli come quello di Russell - Manson. Gli adolescenti credono di essere pieni di problemi, si sentono sotto pressione e incompresi, io per prima sono rientrata alla perfezione in questa definizione. Ecco che allora Russell offriva un'alternativa succosissima: un luogo in cui vivere in pace, senza timore di deludere le aspettative degli altri, senza sentirsi costretti in ruoli in cui non ci si riconosce, in cui non si deve essere la donna di qualcuno per contare. Un paradiso in terra. Il confine sottile tra questo e la viscida realtà si supera molto presto, quasi subito. Emma Cline è bravissima nello sfumare lentamente tra la lucidità di analizzare la situazione e l'attrazione irresistibile che Evie prova per la setta e per una delle ragazze in particolare.
Le ragazze danno il titolo al romanzo perchè sono la parte più rilevante della setta. Se Russell ne era il capo, erano loro il braccio. Succubi della sua figura carismatica ma molto, molto più forti di lui, che a conti fatti si è rivelato un codardo. Loro andavano a rubare per il ranch, loro portavano adepti, loro dormivano con le persone per ottenerne favori. Da solo non sarebbe andato da nessuna parte. Senza le ragazze oggi probabilmente Sharon Tate sarebbe viva.

Le ragazze è attualissimo pur raccontando una storia degli anni 60, ed è un ottimo romanzo da regalare alle persone che hanno a cuore la questione della parità dei sessi. È un romanzo sulle donne e quindi sul mondo intero, perchè parlando di qualcuno parla di tutti. 

martedì 10 gennaio 2017

#CiaoNetflix: Sherlock, S4E2, The lying detective

13:46
Chissà come mai i prodotti di finzione ci coinvolgono così profondamente. Non succede sempre e non succede a tutti, ma quando succede è un fenomeno incredibile, chiederò delucidazioni alla mia amica psicologa. Penso abbia a che fare con l'empatia, o qualcosa del genere.
C'è qualcuno, però, che lo sa molto meglio di me, ed è Steven Moffat, creatore della serie e autore dell'ultimo episodio andato in onda, The lying detective. 


COME AL SOLITO SPOILERISSIMI, CULO CHI LEGGE SENZA AVER VISTO L'EPISODIO

In questa puntata un nuovo Magnussen è sceso su di noi: risponde al nome di Culverton Smith, noto filantropo. Sherlock intuisce la sua natura di serial killer, ne diventa come suo solito ossessionato, e troverà il modo per riprendere con sè John nelle indagini., anche se entrambi stanno ancora elaborando il lutto per la scomparsa di Mary.

Empatia, dicevamo.
Quando scrivi di una grande perdita e di un grande dolore, hai due possibili scelte: o ce ne parli direttamente, riempiendoci gli occhi di immagini spezzacuore e di musica di Alessandra Amoroso, oppure li mostri. Per mostrarli senza parlarne devi essere molto, molto bravo sia in fase di scrittura che nella recitazione effettiva. È inutile che mi ripeta, tutti e tre gli attori che ruotano intorno a questo lutto sono straordinari e ci rendono il coinvolgimento semplicissimo da raggiungere. Quello che è meno scontato è che Moffat abbia scritto del dolore in un modo bellissimo, se questo fosse possibile.
John va in terapia, sembra non cavarsela male, ma vede Mary. La vede, la sente, le parla. Eppure non solo lui stesso è lucidissimo (non sta perdendo la testa per il dolore, non sta impazzendo), ma la visione stessa di Mary lo riporta costantemente con i piedi per terra, ricordandogli che lei non è altro che un prodotto della sua mente. Io non so quanto il fatto che quella lì fosse davvero sua moglie (o almeno che lo fosse al tempo, ora sono separati) abbia influenzato sulla performance di Freeman. C'è uno sguardo, in particolare, che mi ha annientata: John e Mrs Watson sono di fronte al video che Mary ha fatto per Sherlock. Quando la si sente dire, per la prima volta, 'Save him, save John Watson' la camera è fissa su di lui, e lui se ne esce con un'espressione che è un po' un sorriso, un po' un ghigno disperato, un po' il tentativo di non esplodere, ed è INCREDIBILE. Una scena da un secondo eppure una delle più alte di tutto l'episodio. Questo è lo Sherlock che ricordavo, una scena scura e minimale che è un proliferare di sentimenti.

E Sherlock?
Sherlock non è in sè, è Shezza, è tornato lo Sherlock tossicodipendente. Non che le droghe gli siano mai estranee del tutto, ma è tornato nel pieno del suo consumo. E anche se la trama ci dice che il suo consumo era volto anche al caso del serail killer, noi sappiamo che non è solo così. Non risponde di sè, lo vediamo toccare il suo punto più basso, urlare, scalpitare. Siamo abituati ad un aplomb diverso, raramente ha perso il controllo, raramente ha espresso i suoi sentimenti. Questo, però, vale solo a parole. Come la straordinaria Mrs Hudson ci ha fatto notare, Sherlock è molto più emotivo di quanto vuole far trasparire: spara, colpisce, accoltella quello che gli sfugge. Non tollera di perdere e di non capire, e non c'è niente di più umano di questo. È di Sherlock la battuta migliore dell'intero episodio, nella scena (che al momento in cui scrivo ho visto quattro volte), del confronto con John:
'In saving my life she conferred a value on it, in a currency I don't know how to spend.'

E per la prima volta, Sherlock sembra soffrire davvero. Sembrava fermo anche quando stava prendendo una manica di mazzate da John, nella scena che a me ha spezza il cuore più di tutte. Ma qui, quando ha lo sguardo perso nel vuoto nell'ammettere che c'è qualcosa che non sa, è devastante. Vorrei dire che mi sono fatta forza, che non ho pianto, invece mi sono prosciugata. Subito dopo, la confessione di Watson alla moglie, all'immagine che ha di lei. Il tradimento (mai consumato), i pensieri, l'averla trascurata. Nemmeno il momento leggero in cui si ritira in ballo Irene Adler è stato sufficiente ad abbassare l'esplosivo impatto emotivo del momento.

Mary, in tutto ciò, è strabiliante. Buffa, allegra, intelligente, curiosa come sempre. C'è un quarto di secondo in cui rivolge uno sguardo orgoglioso al suo uomo, gli sussurra 'Attaboy' con una dolcezza che hanno causato pelle d'oca costante. Per tutto l'episodio fa quella cosa che John le attribuisce nell'ormai citato confronto con Sherlock: tira fuori il meglio di lui. Lo spinge ad andare oltre, a chiedere informazioni, ad approfondire. Ad un certo punto dice un semplice 'JOhn, do better' che è la summa del suo comportamento per tutto l'episodio. Ed è quello che gli lascia alla fine, quando sembra pronta a lasciarlo andare, incitandolo ad essere sempre l'uomo che lei credeva lui fosse.

Mrs Watson finalmente smette di essere l'ochetta che credevamo, sappiamo da sempre che ha molto più carattere di quanto ci sia mostrato, perchè sappiamo del suo passato. Qui è la figura materna di cui i due uomini avevano bisogno: è determinata ed estremamente protettiva, il suo confronto con il sottovalutatissimo Mycroft è esemplare. Mycroft, dalla sua, non è male come viene rappresentato. È lui quello realmente incapace con gli umani, non possiamo mica fargliene una colpa.

In conclusione, il caso: brillante. I serial killer sono i preferiti di Sherlock, lo sappiamo dal primo episodio ('It's Christmas!'), e lo vediamo dalla passione con cui ci si butta. Il suo cervello torna ad essere al massimo delle sue capacità, portandolo, come sempre, due passi avanti agli altri (o due settimane, dipende dai punti di vista).
Il finale è stato soprendente: sapevamo dai rumors che in questa stagione il terzo Holmes avrebbe fatto capolino e conoscendo lo stile di scrittura della serie sappiamo che le pistole di Cechov non sono certo una novità, quindi se inseriscono qualcosa o qualcuno di nuovo questo deve colpire. Io, però, che sono nata e morirò babba, non avevo capito un cdn e quindi ho AMATO il finale.

Scusate per il fiume di parole fuori programma. Mi prudevano le dita, non avrei mai potuto aspettare sabato a parlarne.


lunedì 9 gennaio 2017

Ouija: Le origini del male

20:56
Su questo blog non parliamo di Ouija, quel lungometraggio di cui il film di oggi è sequel. Fingiamo che non sia esistito e proseguiamo nelle nostre miserabili esistenze. Abitualmente mi diverte parlare di film brutti, ma quello era un oltraggio alla pubblica decenza e quindi l'abbiamo lasciato finire nel dimenticatoio in cui le creature come lui meritano di stare.
Diversi blogger, però, mi hanno messo una mano sulla spalla:
'Guarda, non so come sia successo, giuro che il due è meglio, non sembra vero nemmeno a me ma è buono sul serio'
E allora che fai, non lo guardi?
Lo guardi.


Nel primo film avevamo incontrato la famiglia che è protagonista di questo sequel: madre con due figlie. Si mantengono consolando famiglie in lutto, fingendosi medium. Loro stesse, però, sono in lutto: hanno perso padre e marito di recente e la ferita è ancora sanguinante. Quando la mamma si decide a comprare una tavoletta Ouija, allora, provano per prime a comunicare con il loro defunto, scatenando forze ben più potenti.

Niente di originale, vero?
Il film, però, è di Flanagan. Non è che lo conosca alla perfezione, io, il vecchio Mike, ma è il signore che ha girato Oculus, una robina bella assai con immagini di rara bellezza. Diamogli allora in mano il sequel di un gran pattume, e incrociando le dita preghiamo fortissimo che faccia di meglio. Confermando le ipotesi più rosee, lo fa, eccome.
Prende una storia che più inflazionata di così si muore, usa escamotage tra i più comuni (colori scuri e freddi, dinamiche familiari poco serene, bambini con sensibilità più acute che diventano l'anello di comunicazione tra il mondo dei vivi e quello dei morti...) eppure finisce per fare una cosa che, paradossalmente, ha del miracoloso: fa PAURA.
Riesce nella missione che spesso l'horror si è scordato: spaventare, inquietare, far salire i brividi lungo il collo. A volte ripugna, usando la bocca come mezzo di disagio esattamente come era successo in quella scena della lampadina di Oculus su cui ancora faccio gli incubi, ma soprattutto, vista l'evidente capacità del solito MF, riesce in tutte queste cose pur avendo a sua disposizione un cast che definirei, come il consueto modo di dire, 'non bello ma un tipo'. A volte le mani sono state tenute con i palmi rivolti verso il fronte per un periodo un po' troppo lungo per essere sensato, e tendo a notare queste cose perchè mi suscitano la ridarella. A meno che tu non risponda al nome di Simon Pegg credimi che la ridarella non è quello che vuoi. Flanagan scongiura il rischio e mantiene inalterata la sensazione di inquietudine. Non era mica facile.

L'horror dell'anno (scorso)? Anche no, dai.
Una visione che fa il suo sporco lavoro e conferma Flanagan come un nome da tenere d'occhio? Per me assolutamente sì, e di questi tempi di magra sinceramente tanto mi basta.

sabato 7 gennaio 2017

#CiaoNetflix: Sherlock, S4E1, The six Thatchers

13:44
Prima di Lost, prima di Friends (questa è pesante, ma bisogna guardare la realtà), prima di Sense8, nel mio cuore c'è sempre stata lei, Sherlock. La mia serie tv preferita. 
L'ho detto.
E no, smettetela, non è (solo) per Cumberbatch.
Da ANNI soffrivo come un cane nell'attesa di questa stracavolo di quarta stagione che lo stracavolo di Moffat, portatore di delizie e sofferenze, mi faceva aspettare. E ora è qui, ed è l'ultima. Soffro atrocemente al pensiero che tra due settimane sarà tutto finito, e per sempre. Ma ora è il momento della gioia, Sherlock is back!


In questo primo episodio vediamo Holmes avere a che fare con il ritorno presunto di Moriarty, nemesi storica. Quando quindi un caso apparentemente semplice si rivela più articolato del previsto, il pensiero andrà subito a Moriarty.

Se mi lasci in sospeso per un tempo così lungo innanzitutto meriti di essere sfanculato in tempo record. Mi trattengo per un momento, dandoti il tempo di dimostrarmi che questa attesa ne è valsa la pena. 
MA NON È COSì PORCA MISERIA LADRACCIA MALEDETTA
Cosa è successo, BBC? Ti sei stancata? Non volevi più fare Sherlock ma il finale della scorsa stagione ti ha vincolato? SONO AFFARI TUOI io quelle transizioni lì che mi pareva di guardare un fotoromanzo di GrandHotel non le voglio vedere maimaimai più. Giurami che nel prossimo episodio la smettiamo con questo trash e ci riprendiamo la sobria eleganza che ti ha contraddistinto fino ad ora. Siamo d'accordo? Non posso stare qua a guardarti mandare in vacca la serie tv più bella che sia mai stata realizzata senza fare niente. Ti faccio due scatole sui social che mi faccio denunciare per stalking. La testa di Cumberbatch che si fonde con il mare deve scomparire dal web e dobbiamo tutti scordarci che è esistita.
Le immagini non le ho riconosciute come familiari, mi sono sembrate davvero scadenti e non sono cose che posso accettare da un prodotto di questo tipo. Mi fa malissimo il cuore.
Chiariamo, l'episodio non mi è dispiaciuto. Ma a me le immagini interessano tantissimo, sono per me fondamentali, e non riesco a credere che la BBC non potesse fare meglio. Persino la scena di Lestrade fuori dalla porta di Sherlock con la ragazza di cui non ricordo il nome: concordiamo che c'è qualcosa nell'inquadratura di quella scena che non ha niente a che vedere con lo stile a cui siamo stati abituati?
Per il resto abbiamo: un'inconsueta lentezza, uno script un po' sottotono e casi poco pungenti.

Leggendo alcune critiche in giro, però, e mi riferisco in particolare a quella di Wired, mi sono trovata in forte disaccordo sulle argomentazioni. 
Partiamo da una: l'articolo rimprovera l'assenza di Moriarty, e lo fa anche ripetutamente. Ma davvero, dopo la super conclusione della stagione 3, ci aspettavamo che la questione Moriarty venisse bruciata nel primo episodio? Davvero? Non era più probabile che invece Moriarty in questa stagione tirasse fuori la sua vera natura, ovvero non quella di nemesi reale di Sherlock, quanto piuttosto di sua ossessione? Moriarty non è importante in quanto pericoloso criminale, ma in quanto mette in dubbio le sue capacità, in quanto diventa il suo chiodo fisso. Tutto l'episodio è PIENO di Moriarty, non come presenza fisica (cosa che credo non avverrà nemmeno nei prossimi episodi) ma in quanto pensiero ossessionante, che è la sola cosa che conta del personaggio. La sola esistenza di Moriarty mette Sherlock in crisi costante, che lui sia presente o meno. Il solo ipotizzare un suo ritorno è elemento di caos e confusione. Che ci si potesse aspettare altro mi incuriosisce. 
Altre cose che io ho trovato positive: l'ennesima conferma di Martin Freeman come attore più sottovalutato della sua generazione. Qualcosa nello sguardo di Freeman colpisce drittissimo nei sentimenti, è intenso da morire e MAI, MAI che risulti esagerato o mascherina. È credibile, in ogni istante, anche quando guarda il suo riflesso nel vetro di un bus e torna con i piedi per terra. Senza fare spoiler mi riesce difficile argomentare ancora di più, quindi continuiamo sotto l'alert.

DA QUI SPOILER CHE POI SE LEGGETE SONO AFFARI VOSTRI

Lo stesso articolo di Wired, che sto usando per sviluppare la mia, di argomentazione, parla - male - della morte di Mary. La definisce fan service. Ma il canone è stato letto? Mary è stata uccisa da Conan Doyle, mica da Moffat. E il personaggio era stato inserito nella vicenda talmente bene e in modo talmente unico (non è la moglie che porta via l'uomo al suo amico, ma è parte integrante della vicenda e delle indagini e, soprattutto, è amatissima da Sherlock stesso) che nessuno si sarebbe auspicato la sua dipartita per riuscire ad ottenere di nuovo la bromance tra i due uomini. Avremmo potuto risparmiarcelo, nella serie? Sì, certo, ma perchè? Perchè non inserire un elemento di disturbo, perchè non sfruttare la cosa che ci avrebbe finalmente e definitivamente eretto Sherlock a quello che è: un umano?
Ora, non guardando Doctor Who mi sento di poter parlare solo in parte, ma a me pare che a Moffat e compagnia piaccia assai prendere personaggi che non hanno niente di umano per poi esplorare la loro umanità. Se Sherlock ha scoperto l'affettività con la presenza di John prima e Mary poi, il dottore ha sempre bisogno di una companion. In che modo questo è un male? Non sono stati snaturati i personaggi, sono solo evoluti, e alla quarta stagione un po' di evoluzione non solo non fa male, ma è naturale.

Tirando le somme del primo episodio: inizio poco brillante, dopo una simile attesa chiedevo tanto, tanto di più. I tre volti protagonisti si sono confermati attori straordinari, e, come mi era successo anche con quella cosa tremenda che è stata Gilmore girls vA year in the life, il solo respirare l'atmosfera dei luoghi e dei volti familiari è stato bellissimo.

Il prossimo, comunque, è scritto d Moffat.
Steven, sorprendimi.

giovedì 5 gennaio 2017

Non solo cinema: Blankets

11:31
Da mesi facevo la corte a Blankets, ma la lettura veniva costantemente rimandata dalla mia povertà: 30 sacchi per una graphic novel mi paiono un attimo eccessivi. Giusto giusto per Sandman potrei spenderli. In mio soccorso arriva il mio amico ricco Tobia, che si porta a casa il volumone e in un eccesso di generosità me lo presta. Devo ancora riportarglielo.


Trattasi di racconto della vita dell'autore, che risponde al nome di Craig Thompson. In particolare, si affrontano alcuni momenti della sua infanzia: il rapporto con il fratello minore, l'educazione religiosa ricevuta e più in generale la fede, e la prima storia d'amore. Le coperte sono il fil rouge della crescita di Craig, sono prima il simbolo di una condivisione intimissima, quella del letto, e poi diventano il ricordo migliore di un affetto andato perso nel tempo. È bellissimo l'uso dell'immagine della coperta come simbolo del calore non solo di temperatura: Thompson lo sa e intorno alle coperte ci costruisce una storia intera.

Blankets è, facciamola breve, bellissimo.
È dolce, intimissimo ma riservato, ricercato, sentitissimo. Che stiamo parlando della vita stessa di chi scrive si percepisce, perchè i personaggi sono trattati con un calore che traspare dai disegni e dalle (poche) parole. Craig si ritrae anche nei lati peggiori, come l'essere vittima di bullismo, che lo rendono non una macchietta da fumetto ma un umano reale e a tutto tondo. Come lui, gli altri personaggi che lo circondano. Il fratello minore Phil, che è studiato più in relazione al fratello che come persona a sè, i genitori e Raina, la ragazza per cui si prende la prima cotta. Sono tutti imperfetti, ma umanissimi. I genitori sono cattolicissimi e 'sbagliati', eppure sono umani. Lo sono all'inizio quando ci sembrano mostri terribili e lo sono alla fine, quando sembrano una famiglia come tutte le altre. Raina è una ragazza con più lati di quelli che sembrano: è la ragazza ribelle e popolare a scuola, e la bravissima sorella maggiore che accudisce i fratelli minori problematici. Sarebbe stato troppo facile incasellarla in una sola definizione, e approfondire quella. Essendo tutti personaggi reali, però, un solo lato non è sufficiente a disegnarli.

I disegni sono 'grossi', non sono certo fatti di linee delicate e fini, sono spesso scuri e importanti, ma si finisce per disegnare gli occhi con solo due linee, che finiscono per essere molto più espressivi di tutto il contorno.

Per me Blankets è stato una delle letture a fumetti più intense dell'ultimo periodo. Non si parla di cuori spezzati con questa classe così spesso.

Vi lascio un'intervista che lo youtuber italiano Dario Moccia ha fatto a Thompson. Conoscere l'autore è il modo migliore per capire quanto di lui ci sia nel suo racconto.



Questo il link per acquisare Blankets su Amazon

Disclaimer

La cameretta non rappresenta testata giornalistica in quanto viene aggiornata senza nessuna periodicità. La padrona di casa non è responsabile di quanto pubblicato dai lettori nei commenti ma si impegna a cancellare tutti i commenti che verranno ritenuti offensivi o lesivi dell'immagine di terzi. (spam e commenti di natura razzista o omofoba) Tutte le immagini presenti nel blog provengono dal Web, sono quindi considerate pubblico dominio, ma se una o più delle immagini fossero legate a diritti d'autore, contattatemi e provvederò a rimuoverle, anche se sono molto carine.

Twitter

Facebook